Arx Media. Ovvero,
rocca in mezzo a due valli, Valcuvia e Valtravaglia. E'
Arcumeggia, tranquillo paese immerso nel verde, dalla
specificità inusuale.
Paese 'dipinto', galleria d'arte plein air.
Molte le denominazioni coniate appositamente, evocative
di quegli affreschi che danno luce e colore alle case,
entro le stradine acciottolate che sanno d'antico.
Dalla provinciale trafficata, veloce scorrimento verso
Luino, bisogna inerpicarsi lungo una via contorta e
ripida, fino a un'altitudine di circa ottocento metri.
La piccola località, sulle pendici del Monte San
Michele, è frazione di Casalzuigno; da qui lo sguardo
sale a ritrovare la fitta vegetazione di castagni, di
querce, con la presenza delle robinie e di un sottobosco
folto e variegato.
Il suggestivo agglomerato di case rurali racconta di
una società agricola con attività legate alla
pastorizia. Come dire: l'odore di fieno e il sapore di
latte appena munto.
Se dal latino Arx Media deriva il suo nome, nel
medioevo Arcumeggia risulta essere compresa nel contado
del Seprio. Le vicende del borgo valcuviano sono legate
a territori più estesi e in essi si confondono. Fino a
quel fatidico 1955, quando prende vigore un'idea
originale. La storia di Arcumeggia, pinacoteca
all'aperto, nasce quando l'allora Ente Provinciale per
il Turismo di Varese, per voce del suo presidente, il
dottor Mario Beretta, eminente internista e cardiologo,
persona molto sensibile ai fatti d'arte, intende
proporre un'immagine diversa del Varesotto, al di là
dello stereotipo ben radicato di ricca terra votata
all'industria e ai commerci. Il dottor Beretta e il
direttore dell'EPT, Manlio Raffo, guardano ad Arcumeggia,
a quel borgo antico tra i monti della Valcuvia, a un
passo dal Canton Ticino e non distante da Milano.
Dal 1956 prende a vivere nella piccola frazione di
montagna la Galleria dell'Affresco. Un anno dopo, viene
costruita la Casa del Pittore, luogo di soggiorno per
gli artisti. La formula si rivela subito originale: ogni
anno un artista di fama giunge nell'estate ospite di
Arcumeggia e si impegna, durante la permanenza, a
realizzare sulle pareti delle case un affresco.
L'antesignano, il primo pittore ad arrivare lassù, è
Achille Funi che dedica alla fede della gente
arcumeggina una dolcissima "Madonna" inscritta
in una piccola edicola nello slargo di accesso al paese.
Poi, arriva Gianfilippo Usellini, grande amico ed
estimatore di Arcumeggia. La tematica pittorica di
Usellini diviene toccante. E' "Il ritorno
dell'emigrante", argomento particolarmente sentito
dalla gente del luogo. Allora erano 150 abitanti; ora vi
risiedono solo sessanta persone. Uno spopolamento -
angoscioso per chi rimane -. che ha svuotato le frazioni
montane un pò ovunque.
E qualche anno più tardi, dopo il festoso
"Ritorno", ecco apparire la greve tristezza de
"La partenza dell'emigrante" di Giuseppe
Migneco.
La fama di Arcumeggia rapidamente cresce; giungono
grandi pittori a lasciare il loro segno e la propria
cifra stilistica sui vecchi muri delle abitazioni. Lungo
l'acciottolata Via Beretta si incontrano le opere di
Ernesto Treccani che nel 1974 esegue l'idea di una
"Vita Agreste", mentre Eugenio Tomiolo tinge
d'astratto la sua fantasiosa "Speranza". Non
distante compare la vitalità coloristica de "I
Corridori" di Aligi Sassu, protagonisti Fausto
Coppi e altri storici assi del pedale, Bartali, Magni,
incitati dai tifosi mentre affrontano una salita. Il
tutto, nel segno di quella tradizione ciclistica molto
forte nel Varesotto, se si pensa a campioni come Binda o
Ganna.
Remo Brindisi dipinge un'intera parete con
"Abitanti e lavori del posto". E' il più
grande affresco; ora appare un pò sbiadito.
Verso la parte alta di Arcumeggia, dove si rintraccia
la Casa del Pittore con la sua storia e le opere d'arte
incluse, si trovano "Il trionfo di Gea" del
romano Sante Monachesi e una "Composizione" di
Montanarini, molto provata dal tempo, così come quasi
illeggibile è l'affresco "Madonna e Angeli"
di Cristoforo De Amicis. Alle porte del paese, si
esordisce, entro un'intima domestica emozione, con
"La spartizione della polenta in famiglia" nel
più significativo colorismo di Innocente Salvini,
mentre Aldo Carpi celebra con delicatezza soffusa
"S. Ambrogio che benedice Arcumeggia".
Giuseppe Montanari è ben presente con l'immediato
vigore compositivo di "San Martino e il
povero" e con "I Pugilatori". Enzo
Morelli firma, sopra un'antica fontana, una
"Samaritana al pozzo" e Fiorenzo Tomea un
tormentato, solitario "Crocifisso". Bruno
Saetti, all'ingresso di un'abitazione, affresca una
beneaugurante "Maternità". Gianni Dova offre
alla visione una festosa "Corrida" di fronte
alla Locanda del Pittore e Umberto Faini, una recente
opera dal titolo "Allegoria". Ancora, di
Menzio "I bambini tra gli alberi" e di
Brancaccio "Ragazza alla finestra".
Un discorso a sè stante merita la "Via
Crucis" che circonda il sagrato della Chiesa
Parrocchiale, con le sue 14 stazioni dipinte dai più
noti artisti della contemporaneità, su due quinte di
muro create appositamente. Non un'unica mano per la
sacra sequenza, ma 11 artisti che dal 1958, anno
dell'avvio dei lavori, si impegnano nell'esecuzione fino
al 1965.
Monachesi 'vede' Gesù sotto il tremendo peso della
Croce; l'incontro di Maria con il Figlio di Dio è di
Remo Brindisi. Citiamo ancora l'aiuto dato dal Cireneo
al Cristo nell'opera di Morelli; di Montanari,
l'incontro con le pie donne.
All'Usellini appartengono la Terza Caduta e la
Deposizione. Di Sassu è "Gesù inchiodato alla
Croce". Di Carpi, la Prima Caduta e la Morte in
Croce.
E dal sagrato, una stupenda veduta panoramica sui
monti e sulla vallata, verde e selvaggia.
Tradizione e cultura hanno fatto sì che Arcumeggia
divenisse il simbolo dei molti paesi 'dipinti' e il
fulcro di una continuità di apprendimento di una
tecnica antichissima, tipicamente italiana, qual è
l'affresco. Una tecnica che ha specificità uniche (ben
distinte da altri metodi per dipingere su muro) come
quelle di lavorare su un intonaco debitamente preparato
e bagnato (fresco) in funzione di una reazione chimica
tra la calce spenta di tale intonaco e l'anidride
carbonica dell'atmosfera. Da questa sorta di alchimia,
deriva il fissaggio dei colori. Determinante è la
preparazione della superficie con il rinzaffo e
l'arricciato, poi spianato per attuare il riporto del
disegno, sì da far risultare ben visibile la 'sinopia',
in grado di fornire l'impressione d'insieme del
progetto.
Il Circolo degli Artisti di Varese, la storica
associazione d'arte attiva sotto varie denominazioni dal
1920, continua a proporre nel presente eventi espositivi
artistici senza mai perdere il contatto con le radici
del passato. E a ripercorrere la storia dell'arte a
Varese, è arrivata, nel 1997 al Salone Estense, "Varese-Un
percorso d'arte 1920-1997", mostra che ha proposto
i momenti salienti e le vicende dell'arte attraverso
nomi più o meno celebri, ma ugualmente significativi.
Nel '98 l' "Omaggio a Innocente Salvini, sulla
strada del mulino, tra la sua gente", al Museo
Salvini di Cocquio Trevisago, ha riallacciato le fila di
una ricerca straordinaria.
Prima ancora il Circolo si era mosso sulle "Orme
di Masolino" nello stupendo Palazzo Branda, a
Castiglione Olona. Ancora prima aveva vissuto il tempo
del successo "Nel segno di Tavernari" e tra le
pagine affascinanti di Piero Chiara.
Ora il Circolo ha chiamato a raccolta una quarantina di
artisti famosi, conosciuti e amati dal pubblico, con la
presenza fattiva di parecchi giovani che incalzano, per
attuare un'idea per un affresco ad Arcumeggia. E' solo un'ipotesi
di affresco, in un preciso contesto ambientale. Pittura e
scultura: tecniche e tendenze diversificate, tematiche
sgorgate dalla fantasia, dal sogno, oppure dalla realtà.
Ogni artista si è espresso liberamente, inseguendo
soltanto i propri pensieri, i ricordi, le passioni, le
emozioni. Ancora una volta, la mostra si inscrive in
quella storia dell'arte non soltanto varesina, con una
traccia indelebile.