Dopo la riduzione unicamente all'operazione
artistica in sè propugnata dal Concettuale,
nell'accentuazione del momento ideativo sulla
realizzazione oggettuale, l'arte recupera i luoghi
della figurazione in un tempo presente dilatato al
passato, alterato in migrazioni trasversali,
nell'estendersi di dialoghi forse mai interrotti. E'
maturata la coscienza di una cortocircuitazione di
valenze estetiche e tecniche: si ripresenta il faber,
a sondare la produttività dell'Arte come Téchne.
Ernesto Ornati è consapevole di rivelare nella
materia percezioni di Natura, paesaggio, memoria,
fantasia. La tematica della sua scultura è la vita,
è il tempo nel trascorrere fuggitivo, nel suo svanire
in una intensa emozione sensoriale.
Ornati si dice ancor oggi ammirato
dell'incorruttibile PANTA REI di Eraclito: il fiume
immenso dove tutto scorre è sempre 'quel' fiume, ma
al tempo stesso è mutato, perchè le sue acque,
scorrendo, sono sempre differenti e nelle stesse acque
non ci si può mai bagnare due volte.
Una metafora, quindi, delle trasformazioni
perennemente in atto per gli esseri viventi, in quel
loro tramutarsi nell'opposto, a siglare, una volta di
più, come nella cosmologia stoica, la concezione
dialettica della realtà.
Terra, acqua, fuoco: nella scultura di Ornati tali
elementi primordiali si trasfigurano prendendo corpo
in una trascrizione del reale, entro una gamma
diseguale di sentimenti, dalla meraviglia della vita
all'attesa della morte, dalla contemplazione
dell'estro creativo del naturale al turbamento
esistenziale.
Innanzitutto la materia. In particolare, quando
Ornati sceglie la terracotta policroma, con cui
intrattiene un'affinità elettiva evidente, la cosa
più affascinante da cogliere è il rapporto immediato
e intuibile con questo materiale. Dal sacco di
argilla, inerte polvere antica come il mondo, si
addiviene all'incontro con l'acqua, prima della
tremenda prova del fuoco.
La sapiente manipolazione della terra svela, d'un
lampo, la sacralità del gesto rinnovato nei secoli,
nei millenni, in una manualità che incrocia
l'immaginazione, in una sapienza tecnica pronta a
inseguire la mente e il cuore.
Tutto scorre. PANTA REI. Quella realtà, che lo
scultore sembra afferrare nell'invenzione artistica,
sfugge ancora misteriosamente, perchè la poesia del
vivere scandisce bellezze intrattenibili nell'attimo
che scivola via, alla dimensione dell'infinito, dal
visibile all'arcano invisibile.
Figlio d'arte, Ornati ha guardato al realismo dei
grandi teatri montani seicenteschi dei Sacri Monti,
per i quali famosi o ignoti plasticatori lavorarono
lasciando testimonianze sublimi di arte popolare,
nella modellazione dei personaggi sacri e profani,
folgorati da palpitanti coloriture.
Nell'era del CD-rom e delle immagini virtuali,
Ernesto Ornati rimane nell'ambito della tematica
iconica, per ritrovarsi nel senso più vivo
dell'immediatezza visiva e nella percezione di uno
spazio e di un tempo reali. La sua operatività si
volge da sempre a sottolineare l'acquisizione di
quella genesi formale che riprende la naturalezza
della visione e il sapore del confronto diretto con la
materia.
Si afferra l'intersecarsi di vari campi semantici,
la scultura, la pittura e l'architettura,
nell'armonioso comporsi di linguaggi che si
congiungono nella restituzione dell'immagine, in
differenti declinazioni prospettiche.
Ritratti e nature morte, nell'autonomia creativa
dell'artista. La mise en scène scultorea pare subito
concludersi senza margini di aperture all'ambiguità;
da leggersi in tutti i possibili tragitti della
plasticità sono le tecniche predilette, la terracotta
policroma, innanzitutto e il bronzo. La prospettiva
dell'oggettivazione risveglia l'energia estetica di un
iperrealismo moderno con i riflessi di ascendenze
antiche nella memoria della Natura Morta seicentesca.
Tale procedere artistico riconduce all'unità
andamenti narrativi differenti, che portano verso
luoghi di seduzione visiva esclusivi; si fa
riconoscere il PANTA REI infinito della fugacità,
attraverso l'immagine che già si è cercato di
fermare. Ma il momento è di transito, verso altro,
verso la dimensione in cui tutto sconfina senza
presunzione di limiti.
In Ornati, il nitore coloristico, la pienezza
plastica emergono dalle forme delle nature morte,
chiudendo l'opera scultorea in uno spazio fortemente
illuminato, a provocare un senso di straniamento.
Perchè è l'opera stessa a istituire tale spazio, a
evocarlo per rappresentarsi e, al tempo stesso, a
doversene allontanare per sempre. Sono opere che
intrattengono un rapporto diretto con la realtà e,
nel contempo, mostrano il carattere della fantasia,
per la valenza combinatoria delle presenze, per quel
senso segreto e magico, miracoloso della forma ben
tornita, della luce irreale e cristallina come se
tutto fosse nel presente, scintillante, ma già
consegnato ad un futuro di ombra.
E la Vita Silente, Still Life, ripropone la
sospensione dell'esistere, non la malinconica
trasmutazione della dicitura italiana di 'Natura
Morta'. Still Life, dunque. E' ancora vita.
La "Canestra di frutta" dell'Ambrosiana,
nel sovvertimento pittorico iniziato dal Caravaggio,
oppure la poetica senza fine dell'antica scultura
toscana. O anche entrambe. Il giallo dei limoni
esaltato dal bianco panneggio, la rorida fetta
d'anguria appena tagliata, il turgore della pesca
matura, la pannocchia con le foglie accartocciate, la
zucca e il tralcio d'uva, le verdure croccanti di
sole: la luce è quella del meriggio, la limpidezza
cromatica assicura sempre l'estromissione del
chiaroscuro. Ma non si sa dove, in agguato c'è la
morte, nella consumazione del tempo cui ogni cosa è
consegnata inesorabilmente.
La metamorfosi continua. Tutto scorre.
L'animale ucciso ritorna a sigillo della
plurisecolare violenza dell'uomo. Il biancore
innocente del mite coniglio, il "Germano"
fratello piumato trafitto a morte, la lepre
nell'estremo moto prima del 'rigor mortis' tra i rami
spezzati. Ad essi Ornati dedica pagine scultoree
fortemente sentite.
La solitudine e il silenzio chiudono queste opere in
un oscuro destino di "Natura che
muore",1974, emblematica rappresentazione di un
mondo autenticamente vivo, ma precario, pronto a
perdere inesorabilmente la sfida del tempo, senza
infingimenti, lontano dalle artificiosità di virtuali
e demoniaci diorami contemporanei.
Il genere ritratto induce a considerare l'attività
di Ornati nella sua piena maturità espressiva.
Affiora la volontà dell'artista nel non forzare
l'interpretazione estetica del personaggio, per
lasciare vivere l'eco dell'anima, il travaglio della
mente, la voce del cuore. In ogni ritratto si
intravvede una lunga tenzone, tra l'artista e il
modello, un duello, che va oltre l'acquisizione
dell'immediata riconoscibilità. L'inattesa,
sorprendente evidenza dei dettagli più segreti che
ogni persona reca in sè, dalle pieghe del volto ai
silenzi dell'anima, offre trasalimenti nella
terracotta segnata dai pigmenti, a equilibrare il
nervoso procedere del gesto creativo entro la materia
plastica. Nella fisicità della luce, la forma si
struttura in un coinvolgimento altamente emotivo.
Dal ritratto di Alvar Aalto del 1966, ieratico
neo-etrusco, alla mobilità inquietante di Carlos
Fernandez, 1998, dalla meditativa, perturbata
nervatura della fisionomia di Ezra Pound, 1967, alla
spiazzante oggettivazione del volto di Virgilio Guidi
(1967), Ornati non ricerca valenze letterarie, ma il
senso della vita serrata tra realtà e
rappresentazione.
L'immaginazione dello scultore entra nel mondo
femminile liberamente, lontano da ogni soggezione.
"Paola" (1974) stregata dal sole, vive di
una incontenibile sensualità che si percepisce nella
modellazione essenziale e nell'originalità policroma
della stoffa che non nasconde il suo corpo.
"Michela", 1984, riversa il suo
temperamento in quel lampo inusitato dello sguardo per
un improvviso (forse insperato?) evento.
"Guardando il mare", bronzo del 1974,
sorprende per la sottile seduzione di un mondo
femminile estraniato dalla realtà e proiettato verso
il mistero di un arcano fantasticare.
L'intensa policromia del "Judoka" (1983)
ferma la freschezza inventiva dell'artista in un tema
inusuale di giovinezza e di forza esemplari. "Antoinette",
la moglie, è apparizione vivida di umori, di
sensibili insorgenze, di speranze e, fatalmente, di
illusioni.
Il racconto di Ornati continua distesamente anche
nell'innocenza degli occhi dei bambini, nelle loro
gote rotonde, nell'evidente vulnerabilità.
Non crede, l'artista, al tormento creativo, almeno
così asserisce. L'esemplificazione viene dal mare, le
cui onde possono sì travolgere la superficie, ma in
profondità esso è calmo e tranquillo. Nel momento
della creatività, dice, devono prevalere quella
misura, quell'equilibrio formale che innervano
l'essenza di ogni opera d'arte. E tutto deve scorrere
nella direzione più naturale possibile.
Natura e vita ricompaiono negli straordinari
acrilici su fondo bianco con affocate memorie
dell'Arizona o in fresche apparizioni dal giardino di
Saronno. Le esperienze della sua vita trovano un filo
di congiunzione, vicende esistenziali diverse e
parimenti simili nello scorrere temporale.
Terra plasmata e colore, la lucentezza del bronzo, i
riverberi cromatici dell'acrilico. Ornati non vaga in
meandri pseudo-intellettuali; ha scelto di vivere la
sua arte nel respiro autentico delle cose e delle
persone che raffigura nella scultura o sui fogli. Non
si nasconde; vive l'incanto e la meraviglia della
Natura e della conoscenza dell'uomo con sguardo acuto,
limpido.
Affinchè tutto scorra nel modo più naturale.
Quello della vita.