CRITICA D' ARTE    ORGANIZZAZIONE EVENTI D'ARTE E ANTIQUARIATO    UFFICIO STAMPA      GIORNALISMO
 
  MOSTRE D'ARTE  

ORNATI

   

 

 
ERNESTO ORNATI
Mostra antologica 1960 - 1998 
a cura di Fabrizia Buzio Negri
CIVICA GALLERIA D'ARTE MODERNA - COMUNE DI GALLARATE
dal 15 novembre al 13 dicembre 1998
Catalogo: Edizioni Grafica Varese,1998
 
"Et avendo una maravigliosa pratica nella terra,
la quale diligentissimamente lavorava,
trovò il modo di inventare essa terra co'l fuoco,
in una maniera che è non la potesse offendere
nè acqua nè vento"
Giorgio Vasari
PANTA REI.
TUTTO SCORRE E SFUGGE MISTERIOSAMENTE DALLA VITA
Dopo la riduzione unicamente all'operazione artistica in sè propugnata dal Concettuale, nell'accentuazione del momento ideativo sulla realizzazione oggettuale, l'arte recupera i luoghi della figurazione in un tempo presente dilatato al passato, alterato in migrazioni trasversali, nell'estendersi di dialoghi forse mai interrotti. E' maturata la coscienza di una cortocircuitazione di valenze estetiche e tecniche: si ripresenta il faber, a sondare la produttività dell'Arte come Téchne.
Ernesto Ornati è consapevole di rivelare nella materia percezioni di Natura, paesaggio, memoria, fantasia. La tematica della sua scultura è la vita, è il tempo nel trascorrere fuggitivo, nel suo svanire in una intensa emozione sensoriale.
Ornati si dice ancor oggi ammirato dell'incorruttibile PANTA REI di Eraclito: il fiume immenso dove tutto scorre è sempre 'quel' fiume, ma al tempo stesso è mutato, perchè le sue acque, scorrendo, sono sempre differenti e nelle stesse acque non ci si può mai bagnare due volte.
Una metafora, quindi, delle trasformazioni perennemente in atto per gli esseri viventi, in quel loro tramutarsi nell'opposto, a siglare, una volta di più, come nella cosmologia stoica, la concezione dialettica della realtà.
Terra, acqua, fuoco: nella scultura di Ornati tali elementi primordiali si trasfigurano prendendo corpo in una trascrizione del reale, entro una gamma diseguale di sentimenti, dalla meraviglia della vita all'attesa della morte, dalla contemplazione dell'estro creativo del naturale al turbamento esistenziale.
 
Innanzitutto la materia. In particolare, quando Ornati sceglie la terracotta policroma, con cui intrattiene un'affinità elettiva evidente, la cosa più affascinante da cogliere è il rapporto immediato e intuibile con questo materiale. Dal sacco di argilla, inerte polvere antica come il mondo, si addiviene all'incontro con l'acqua, prima della tremenda prova del fuoco.
La sapiente manipolazione della terra svela, d'un lampo, la sacralità del gesto rinnovato nei secoli, nei millenni, in una manualità che incrocia l'immaginazione, in una sapienza tecnica pronta a inseguire la mente e il cuore.
Tutto scorre. PANTA REI. Quella realtà, che lo scultore sembra afferrare nell'invenzione artistica, sfugge ancora misteriosamente, perchè la poesia del vivere scandisce bellezze intrattenibili nell'attimo che scivola via, alla dimensione dell'infinito, dal visibile all'arcano invisibile.
Figlio d'arte, Ornati ha guardato al realismo dei grandi teatri montani seicenteschi dei Sacri Monti, per i quali famosi o ignoti plasticatori lavorarono lasciando testimonianze sublimi di arte popolare, nella modellazione dei personaggi sacri e profani, folgorati da palpitanti coloriture.
Nell'era del CD-rom e delle immagini virtuali, Ernesto Ornati rimane nell'ambito della tematica iconica, per ritrovarsi nel senso più vivo dell'immediatezza visiva e nella percezione di uno spazio e di un tempo reali. La sua operatività si volge da sempre a sottolineare l'acquisizione di quella genesi formale che riprende la naturalezza della visione e il sapore del confronto diretto con la materia.
Si afferra l'intersecarsi di vari campi semantici, la scultura, la pittura e l'architettura, nell'armonioso comporsi di linguaggi che si congiungono nella restituzione dell'immagine, in differenti declinazioni prospettiche.
 
Ritratti e nature morte, nell'autonomia creativa dell'artista. La mise en scène scultorea pare subito concludersi senza margini di aperture all'ambiguità; da leggersi in tutti i possibili tragitti della plasticità sono le tecniche predilette, la terracotta policroma, innanzitutto e il bronzo. La prospettiva dell'oggettivazione risveglia l'energia estetica di un iperrealismo moderno con i riflessi di ascendenze antiche nella memoria della Natura Morta seicentesca.
Tale procedere artistico riconduce all'unità andamenti narrativi differenti, che portano verso luoghi di seduzione visiva esclusivi; si fa riconoscere il PANTA REI infinito della fugacità, attraverso l'immagine che già si è cercato di fermare. Ma il momento è di transito, verso altro, verso la dimensione in cui tutto sconfina senza presunzione di limiti.
In Ornati, il nitore coloristico, la pienezza plastica emergono dalle forme delle nature morte, chiudendo l'opera scultorea in uno spazio fortemente illuminato, a provocare un senso di straniamento. Perchè è l'opera stessa a istituire tale spazio, a evocarlo per rappresentarsi e, al tempo stesso, a doversene allontanare per sempre. Sono opere che intrattengono un rapporto diretto con la realtà e, nel contempo, mostrano il carattere della fantasia, per la valenza combinatoria delle presenze, per quel senso segreto e magico, miracoloso della forma ben tornita, della luce irreale e cristallina come se tutto fosse nel presente, scintillante, ma già consegnato ad un futuro di ombra.
E la Vita Silente, Still Life, ripropone la sospensione dell'esistere, non la malinconica trasmutazione della dicitura italiana di 'Natura Morta'. Still Life, dunque. E' ancora vita.
La "Canestra di frutta" dell'Ambrosiana, nel sovvertimento pittorico iniziato dal Caravaggio, oppure la poetica senza fine dell'antica scultura toscana. O anche entrambe. Il giallo dei limoni esaltato dal bianco panneggio, la rorida fetta d'anguria appena tagliata, il turgore della pesca matura, la pannocchia con le foglie accartocciate, la zucca e il tralcio d'uva, le verdure croccanti di sole: la luce è quella del meriggio, la limpidezza cromatica assicura sempre l'estromissione del chiaroscuro. Ma non si sa dove, in agguato c'è la morte, nella consumazione del tempo cui ogni cosa è consegnata inesorabilmente.
 
La metamorfosi continua. Tutto scorre.
L'animale ucciso ritorna a sigillo della plurisecolare violenza dell'uomo. Il biancore innocente del mite coniglio, il "Germano" fratello piumato trafitto a morte, la lepre nell'estremo moto prima del 'rigor mortis' tra i rami spezzati. Ad essi Ornati dedica pagine scultoree fortemente sentite.
La solitudine e il silenzio chiudono queste opere in un oscuro destino di "Natura che muore",1974, emblematica rappresentazione di un mondo autenticamente vivo, ma precario, pronto a perdere inesorabilmente la sfida del tempo, senza infingimenti, lontano dalle artificiosità di virtuali e demoniaci diorami contemporanei.
 
Il genere ritratto induce a considerare l'attività di Ornati nella sua piena maturità espressiva. Affiora la volontà dell'artista nel non forzare l'interpretazione estetica del personaggio, per lasciare vivere l'eco dell'anima, il travaglio della mente, la voce del cuore. In ogni ritratto si intravvede una lunga tenzone, tra l'artista e il modello, un duello, che va oltre l'acquisizione dell'immediata riconoscibilità. L'inattesa, sorprendente evidenza dei dettagli più segreti che ogni persona reca in sè, dalle pieghe del volto ai silenzi dell'anima, offre trasalimenti nella terracotta segnata dai pigmenti, a equilibrare il nervoso procedere del gesto creativo entro la materia plastica. Nella fisicità della luce, la forma si struttura in un coinvolgimento altamente emotivo.
Dal ritratto di Alvar Aalto del 1966, ieratico neo-etrusco, alla mobilità inquietante di Carlos Fernandez, 1998, dalla meditativa, perturbata nervatura della fisionomia di Ezra Pound, 1967, alla spiazzante oggettivazione del volto di Virgilio Guidi (1967), Ornati non ricerca valenze letterarie, ma il senso della vita serrata tra realtà e rappresentazione.
L'immaginazione dello scultore entra nel mondo femminile liberamente, lontano da ogni soggezione. "Paola" (1974) stregata dal sole, vive di una incontenibile sensualità che si percepisce nella modellazione essenziale e nell'originalità policroma della stoffa che non nasconde il suo corpo.
"Michela", 1984, riversa il suo temperamento in quel lampo inusitato dello sguardo per un improvviso (forse insperato?) evento. "Guardando il mare", bronzo del 1974, sorprende per la sottile seduzione di un mondo femminile estraniato dalla realtà e proiettato verso il mistero di un arcano fantasticare.
L'intensa policromia del "Judoka" (1983) ferma la freschezza inventiva dell'artista in un tema inusuale di giovinezza e di forza esemplari. "Antoinette", la moglie, è apparizione vivida di umori, di sensibili insorgenze, di speranze e, fatalmente, di illusioni.
Il racconto di Ornati continua distesamente anche nell'innocenza degli occhi dei bambini, nelle loro gote rotonde, nell'evidente vulnerabilità.
Non crede, l'artista, al tormento creativo, almeno così asserisce. L'esemplificazione viene dal mare, le cui onde possono sì travolgere la superficie, ma in profondità esso è calmo e tranquillo. Nel momento della creatività, dice, devono prevalere quella misura, quell'equilibrio formale che innervano l'essenza di ogni opera d'arte. E tutto deve scorrere nella direzione più naturale possibile.
Natura e vita ricompaiono negli straordinari acrilici su fondo bianco con affocate memorie dell'Arizona o in fresche apparizioni dal giardino di Saronno. Le esperienze della sua vita trovano un filo di congiunzione, vicende esistenziali diverse e parimenti simili nello scorrere temporale.
Terra plasmata e colore, la lucentezza del bronzo, i riverberi cromatici dell'acrilico. Ornati non vaga in meandri pseudo-intellettuali; ha scelto di vivere la sua arte nel respiro autentico delle cose e delle persone che raffigura nella scultura o sui fogli. Non si nasconde; vive l'incanto e la meraviglia della Natura e della conoscenza dell'uomo con sguardo acuto, limpido.
Affinchè tutto scorra nel modo più naturale. Quello della vita.

TORNA MOSTRE D'ARTE