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  MOSTRE D'ARTE  

FIGURAZIONE A MILANO

   

 

 
FIGURAZIONE A MILANO
Dal Secondo Dopoguerra a oggi
Mostra storico-contemporanea
a cura di Fabrizia Buzio Negri
MILANO, Spazio Culturale LA POSTERIA 
dal 16 maggio al 7 giugno 2000
Catalogo: Ed. Milano,2000

 

Figurazione a Milano
L'arduo transito verso la contemporaneità
Milano e l'arte del dopoguerra. In una sorta di contenitore di tutte le tensioni sociali e culturali, qual è stata la metropoli lombarda, avviene una rigenerazione autentica del "realismo", protesta e scandalo per la sua carica provocatoria e per l'energia in cui esso viene espresso. La centralità di Milano nella vita intellettuale italiana, la caratteristica di crocevia dell'arte internazionale mantenuta per lungo tempo dalla città: tutto ciò contribuisce alle sottolineature di pronunciamenti d'arte e a incisive denunce per valenze nuove, eloquentemente espresse da situazioni di creatività particolari.
La percezione della realtà, che attinge al divenire temporale in un fraseggio descrittivo tradizionale, appare spezzarsi nell'urgere delle motivazioni di fervide passioni ideali o politiche, intellettualmente esplicitate.
Molto complesso, ma non discontinuo è il profilo dell'arte innestata sulla figurazione che, dopo la drammatica successione degli eventi bellici, si ripresenta variato, per il clima polemico ricavato dagli sviluppi successivi al movimento di "Corrente", spartiacque negli orientamenti artistici del secondo dopoguerra per via del rinnegamento assoluto di ogni compiaciuta autarchia.
Edoardo Persico, voce critica di primario sostegno alle istanze etiche di "Corrente", nella conferenza del 5 giugno 1934 alla Galleria Il Milione per la mostra di 4 giovani artisti (tra i quali si annovera Renato Guttuso) afferma: "Se dovremo restare dei sopravvissuti di un'epoca storica, quest'arte sarà un documento che bisognerà consultare più tardi."
Non più una statica visione classica (eppure sono gli anni del "ritorno all'ordine" dichiarato dal regime sul finire degli Anni Venti), ma un aggancio sicuro alle avanguardie europee, fuori dalle pastoie della retorica nazionalista, in un impeto di libertà per ridefinire contenuti e forme.
Da qui parte la rivisitazione dell'esperienza figurativa proiettata verso le aspre conquiste di una cultura visiva non più codificata dalla tradizione.
Così come Picasso aveva inteso la pittura "strumento di guerra offensiva e difensiva contro il nemico", gli artisti di "Corrente", i quali "sognavano - scrive De Grada - soltanto una immaginazione più forte del reale, videro che la realtà superava la loro stessa immaginazione".
La realtà non può più essere interpretata nella rassicurante forma convenzionale, dopo l'immane tragedia della guerra. D'altro canto, la tendenza più vasta è quella di avviare una nuova sintesi, in un nuovo rapporto tra immagine e forma. Non più la mimesi derivata dall'esperienza sensoriale, in grado di esprimere la realtà e la condizione umana, bensì la suggestiva tramatura di interferenze tra invenzioni, allusioni, realtà, per opere che nascono dalla sensibilità dell'artista, in una individualità che gli è propria per fondere gli accadimenti umani.
Asserisce Brecht: "Gli artisti realistici rappresentano le contraddizioni insite negli uomini e nei loro rapporti reciproci, e mostrano le condizioni nelle quali esse si sviluppano". Dunque, la vita nella sua evidenza, ma anche nella prospettiva di un giudizio etico-sociale.
In Europa, esperienze come quelle di Sutherland e Bacon in Inghilterra, De Stael in Francia, ad esempio, fanno comprendere come gli artisti abbiano una necessità di nuove metodologie di indagine, nella "remise en question" della figurazione da rimeditare, allargandone i confini.
 
 
Da qui la possibilità da parte dell'arte italiana più avanzata, nel secondo dopoguerra, di disintegrare le impalcature dell'ordine novecentista, per incamminarsi sulla strada di un libero rapporto con la dimensione europea.
Le due proposizioni di base articolate genericamente tra "Astratto" e "Figurativo", divengono breve momento unitario nella costituzione del Gruppo "Nuova Secessione Artistica Italiana", che prende subito la denominazione di "Fronte Nuovo delle Arti" (ottobre 1946). Tra i primi firmatari del Gruppo, nato seguendo un'idea di Renato Birolli, sono Guttuso, Morlotti, Pizzinato, Santomaso, Vedova, Cassinari (che ben presto ritira l'adesione) oltre agli scultori Leoncillo e Viani. Nel '47 aderiscono i pittori Corpora e Turcato, (quest'ultimo faceva parte anche del Gruppo romano "Forma") gli scultori Franchina e Fazzini. Ancor prima, nel marzo del '46, a Milano, il periodico "Numero" pubblica il "Manifesto del Realismo", noto come "Oltre Guernica", datato "Milano, febbraio 1946" e firmato da un folto gruppo di artisti che dichiarano: "Realismo non vuol dire (quindi) naturalismo o verismo o espressionismo, ma il reale concretizzato dell'uno, quando determina, partecipa, coincide ed equivale con il reale degli altri, quando diventa insomma misura comune rispetto alla realtà stessa".
Nella mostra di Milano (12 giugno-10 luglio 1947), alla Galleria della Spiga, Giuseppe Marchiori presenta le esperienze fondamentali del Fronte Nuovo, nell'impegno morale comune, pur nelle diverse scelte di metodologia linguistica.
Guttuso, nella caratterizzazione continuamente sperimentale della sua opera, si pone subito il problema della tematica sociale, entro una figurazione formulata in chiave cubista, con una dinamica di forme allusive a riferimenti espressionisti. Dalla polemica frattura tra Figurazione e Non-figurazione, avvenuta già dopo le prime mostre, nasce il Realismo sociale che lascia prevalere l'ideologia politica nel procedere formale. Nella Biennale del 1952, il fronte del Realismo si presenta compatto attorno alla "Battaglia di Ponte Ammiraglio" di Guttuso, con opere di Treccani, Migneco, Sassu, Mucchi, Francese, Zigaina, Mafai.
Altri, intanto, si muovono, tra mille polemiche, verso progressive astrazioni di segno, dopo gli inarrestabili cedimenti delle visioni realistiche.
 
 
Ma a Milano, diventa sempre più forte la crisi degli intellettuali della sinistra, in seguito alle vicende ungheresi: sembra che l'idealità del Realismo socialista svanisca all'ombra dei carri armati dell'invasione sovietica.
Il Realismo prende, allora, a indagare riflessioni esistenziali nel nuovo dissenso politico che si sta affermando. Fuori dell'aggrovigliarsi dell'antinomia figurazione /astrazione, un gruppo di giovani pittori persegue un'operazione di rinnovamento pittorico incentrato sulla ricerca della verità nella condizione umana. Sono i tracciati entro cui si muoverà quello che diverrà il Realismo Esistenziale, così denominato in modo intuitivamente felice da Marco Valsecchi, in un articolo su "Il Giorno" del 30 aprile 1956. Kaisserlian, dal canto suo, scrive per la mostra "Ceretti, Guerreschi, Romagnoni", alla Galleria San Fedele, 1956: "...Questa loro disposizione a cogliere ad occhi aperti una realtà fenomenica (e non cronachistica) potrà forse permetterci un giorno di avere in sede visiva una testimonianza della nostra epoca dilacerata, e del suo muoversi."
Tra speranze e rifiuto, in una prosa pittorica addensata nel disagio dell'esistere, l'arte si avvede di situazioni metropolitane svelate in una gamma coloristica senza aggressioni cromatiche, inscritte nei toni più cupi a significare la solitudine, talora la protesta silente. E' il profilo antiretorico ispiratore di quel gruppo di giovani che agli inizi degli Anni Cinquanta frequenta l'Accademia di Brera.
Annota Giuseppe Banchieri in uno scritto successivo: "Era il primo giorno che frequentavo Brera. Per due anni avevo fatto l'Accademia a Firenze. Mi indicarono l'aula del professor Carpi. Entrai: dentro c'erano tutti, dico Romagnoni, Guerreschi, Vaglieri e Ceretti. Mi parve di conoscerli da tempo, lessi nei loro volti, istintivamente, che erano le persone giuste, quelle che avevo sempre cercato, senza aver l'idea di dove le avrei potute trovare. La nostra amicizia s'incanalò subito sul piano quotidiano dell'incontro, della frequentazione, delle discussioni accanite e senza mezzi termini.."
Essi prendono immediatamente le distanze dagli assunti ideologici cristallizzati entro il Realismo di marca guttusiana. "Noi non volevamo infatti - continua lucidamente Banchieri - fare politica attraverso quadri-manifesto o dichiarazioni programmatiche, ma attraverso una ricostruzione dell'uomo, esterna e interiore insieme."
Romagnoni parla di "... adesione umana oltre il fatto di cronaca". E Ceretti ribadisce "una ribellione dell'uomo alla condizione umiliata della sua esistenza, una opposizione irriducibile a tutto quanto sapesse di artefatto, di élite culturale, di ghetto classista. Certo sarebbe errato credere che la nostra situazione d'allora corrispondesse a un movimento, a un gruppo ben organizzato...".
Dunque, un'atmosfera di impegno civile oltre che culturale, che ben presto dilaga e trova adepti. Ma agli esordi di quello che non è mai stato un movimento, vi sono i realisti esistenziali che a Milano puntano energicamente a uscire dagli schemi creativi predefiniti, fuori anche dalle componenti di mercato troppo strette.
Guerreschi, Romagnoni, Ceretti, Banchieri, Vaglieri, Ferroni, con la presenza dello scultore Floriano Bodini.
Il loro immaginario visivo si carica di fantasmi immersi nell'assillo del reale. La provocazione mira a nuove valenze figurative, spiazzate tra storia e vita, con i risvolti degli eventi della quotidianità. Lo scenario urbano milanese coinvolge gli artisti in immagini emblematiche, dove il non-colore spesso azzarda interni in cui le figure paiono larve umane, mentre le periferie e le fabbriche sono visioni oscillanti nei difficili segnali di disagio e di insofferenza. Forte l'emozionalità di Vaglieri che nel 1956 dipinge "Morte del minatore", quadro esposto alla Civica Galleria d'arte di Gallarate nella mostra da me curata "Guerreschi e il Realismo Esistenziale", a fianco di opere storiche come "Ragazzi che giocano alla guerra", 1957, espressa nel forte rigore morale di Guerreschi. Ancora citiamo, da quella mostra, "Crocifisso n°1" di Bodini, metafora che lacera l'aria intorno e quell' "Uomo allo specchio rotto", 1957, di Ceretti, opera vissuta in un disincanto disperato. Il "Soldato con arma", sempre del 1957, di Romagnoni, i "Sassofoni" di Banchieri, "Il cieco di Via Garibaldi" di Ferroni appaiono prove di altissima coscienza, pronta a motivare un disorientamento esistenziale.
Sulla stessa linea interpretativa, nell'attuale mostra milanese, si è voluto privilegiare l'inedito, proveniente da collezioni private, con opere dense di lampi e illuminazioni sull'uomo, come di ripiegamenti accentuati dall'alta poesia della gamma coloristica cupa.
Le opere esposte mantengono sempre quella presa diretta con la complessità esistenziale e le profonde ragioni dell'uomo, nelle esperienze artistiche di quei primi anni.
L'eredità di "Corrente" trova negli Anni Cinquanta proprio a Milano humus fertile per produrre confluenze tra idealità cattoliche e marxiste, come negli artisti del Realismo Esistenziale. Si leggono i testi 'sacri' di Camus e di Sartre. Molte le seduzioni che giungono dalla Francia con l'impegno morale di André Minaux e Paul Reyberolle, registrati nel gruppo di quei giovani pittori che, a Parigi, lavorano nel degradato edificio della Ruche.
I termini di una dialettica molto vicina, che problematizza la dimensione del Realismo, già si ritrova in Giansisto Gasparini e Franco Francese, più maturi di qualche anno di quei giovani di Brera; sono loro due che danno avvio a quel tormento interiorizzato e a quello scavo che smuove dal fondo dell'anima i malesseri e le alienazioni di esistenze difficili. Parecchi di questi temi espressi da Gasparini in alcune tele di quegli anni, nelle ansie e nelle conflittualità di una poesia agitata da figure fantasmatiche, come il corrosivo spirito di Francese, spesso avviato su tracciati di profonda malinconia, vengono ripresi in vario modo da quei ragazzi di Brera. Mi riferisco alle mostre del '56, l'una (già citata) alla Galleria San Fedele che vede accostati Ceretti, Romagnoni, Guerreschi, le altre alla Galleria Pater, con le 'personali' di Banchieri e Vaglieri, presentati da Mario De Micheli.
 
Le vie dell'arte a quei tempi si intrecciano, in coincidenze, in spunti affini, in giudizi molto vicini.
La continuità del Realismo alla fine degli Anni Cinquanta si muove già su differenti strategie, rispetto ai primi anni del Dopoguerra.
La terminologia di Nuova Figurazione compare in Francia e in Italia intorno al '60 e si riferisce a un'area pittorica molto ampia, attraverso un'iconografia connessa a immagini in vari modi ricollegabili a modelli della realtà. La panoramica artistica del tempo appare dominata dall'affermazione incondizionata dell'Informale. L'area di ricerca della Nuova Figurazione, a Milano, accoglie artisti che hanno ereditato le problematiche politiche e ideologiche del Realismo, sfociate nella crisi del Comunismo Italiano.
Non più Realismo come tendenza culturale, bensì come criterio stilistico, accentuato da una rilettura in chiave di situazione critica delle ideologie politiche. La tematica risulta essere quella urbana, argomento che riesce a inserirsi in una logica progressista di mercato dell'arte che si va affermando un pò ovunque. Il vecchio sistema di committenza ideologica lascia spazi nuovi alle gallerie di tendenza.
A Milano, Mario De Micheli promuove la Nuova Figurazione nella continuità del Realismo, anche se spesso gli sguardi dei pittori vanno diritto verso l'Informale, in un avvicendamento di tecniche e di esecuzione. Non esistono più confini troppo rigidi; De Micheli stesso parla di "tendenza tra le tendenze", secondo una linea di lavoro che privilegia la libertà stilistica in un discorrere artistico divenuto più etico, che ideologico.
Il fronte degli artisti è molto vasto e coinvolge anche pittori fuori del territorio lombardo che si portano a Milano e con la loro pittura definiscono un giudizio morale, una dolorosa confessione privata.
Serpeggiano l'inquietudine sulla sorte dell'uomo, la tensione a una nuova contemporaneità, il sentimento di una realtà insicura, mobile.
Gli stessi artisti del Realismo Esistenziale si muovono negli Anni Sessanta entro quella modification di Michel Butor che in "Repertoire" (1960) scrive: " Per ricostruire una storia, ci si rifarà a quel che si è vissuto e che si vede ogni giorno, si descriveranno i fatti, i gesti, gli oggetti e i sogni."
Insomma, una "concatenazione" di circostanze in una "relazione" di fatti, entro un racconto del quotidiano che è cronaca, ma è soprattutto stato d'animo.
Se Ceretti, Romagnoni, Vaglieri sviluppano narrazioni legate al rapportarsi degli uomini, a loro si affiancano Aricò, Bellandi, Schiavocampo.
A Ferroni e Banchieri si unisce Sandro Luporini, in una mostra da Bergamini nel 1959. Il gruppo dei toscano-versiliesi raggruppa Sandro Luporini, Giuseppe Martinelli e Giuseppe Giannini, che accrescono vieppiù a Milano la loro gamma espressiva commovente e tragica. Nel 1959, Romagnoni scrive dal canto suo, nel 1960, una pagina di catalogo dal titolo emblematico di "Nuove possibilità di relazione".
Il romagnolo Cappelli drammaticamente recupera lacrime e sangue dell'uomo solo. Divorano tutto i grigi acciaiosi di Luigi Timoncini. Si inasprisce la pittura, medium esistenziale in Caminati, Liberio Reggiani, Scapaticci. Adolfo Borgognoni interpreta la fisicità delle cose in una esasperazione lirica; Cazzaniga apre ai suoi tormentati "Jazz Men". Ancora, Leddi, Dimitri e Pietro Plescan, Francesconi. Altri proseguono le ricerche senza più termini di riferimento fondamentali.
Scrive lucidamente Romagnoni in una pagina per "Civiltà delle macchine":
".... Non è difficile constatare come tutti parlino della nuova figurazione in termini contraddittori senza che esista un'interpretazione prevalente: per alcuni basta che appaiano sui quadri alcuni elementi riconoscibili della comune esperienza visiva, per altri che questi elementi vengano classiificati in un qualsiasi antropomorfismo, per terzi che questo antropomorfismo venga indirizzato verso ragioni e motivazioni sociali o magico-religiose o emblematiche ecc., per quarti, rifiutando ogni esperienza mimetica, è l'assunzione dei più avanzati protocolli della visibilità, per quinti la cattura immediata del tempo 'in fieri', per sesti l'invettiva iconoclasta, per settimi la pura e semplice restaurazione di alcuni o di tutti i valori, per ottavi il ritorno alle origini dell'avanguardia, per noni la giustificazione di passate battaglie e l'occasione di nuove, e per decimi una trovata mercantile...Per nuova figurazione c'è insomma un grande armadio dove si può rintracciare ogni cosa."
 
Una tensione morale e insieme spirituale concretizza una sintesi artistica di tante discussioni, di tante riflessioni, di tanti scritti, spesso aggressivi, determinati a far uscire l'arte dagli schemi d'élite. Si aprono agli incontri e alle esposizioni collettive nuove cooperative, sedi sindacali, librerie emergenti a Milano e nell'hinterland. Sono luoghi inediti per esporre la dolente umanità di personaggi trafitti dal destino, nell'ansia di ricreare un nuovo mondo, nel rifiuto della retorica, nelle testimonianze appassionate ed esaltanti.
La cultura sta cambiando, frammentandosi in diversi linguaggi, in spinose problematiche: le ricerche si dividono in molte individualità senza manifesti programmatici, ma solo accostabili per sintonie, per confluenze di affinità elettive.
 
Nelle vicende storico-sociali della metropoli lombarda, si inserisce ancora una volta l'attenzione da parte degli artisti verso realtà in posizione critica contro l'Astrattimo e l'Informale, in opposizione alle nuove tendenze che negli Anni Settanta sconvolgono il cammino dell'arte, come il Minimalismo, l'Arte Povera, il Concettuale. Si attesta in modo fondamentale il divario tra il fare arte e la riflessione sull'arte.
Gli Anni Settanta si aprono a Milano nel segno di una sorta di ricomposizione di un nucleo di artisti legati alla figurazione, che non segue il discorso 'pop', nè le istanze 'urbane' dei pittori della Nuova Figurazione.
La mostra "Arte Contro", che De Micheli organizza ad Arezzo (con il sottotitolo "1945-1970/ dal realismo alla contestazione") acquisisce connotazioni eminentemente politiche. Mostre molto ampie (come la XXVII Biennale di Milano) coinvolgono artisti di diversa provenienza territoriale, ma convergenti su tematiche d'impegno militante. Varie sono le rassegne d'arte allestite entro i circuiti dei Festival dell'Unità. La lotta dichiarata della classe operaia contro il capitalismo entra anche nei dibattitti degli artisti, si propone come modello narrativo nelle nuove tendenze della pittura.
Rimane in sottofondo il timore che l'arte possa dissolversi nel puro atto di pensiero o nella tecnologia che avanza imperiosamente. La figurazione non è affatto scomparsa. Anzi.
Da posizioni differenti per caratterizzazione espressiva, per declinazione estetica, le grandi tematiche connesse alla storia dell'uomo, specificatamente nelle trasformazioni della società, assumono i significati profondi delle offese e delle lacerazioni che portano alla rivoluzione, all'urto cruento per arrivare la mutamento generale.
I conflitti generali si fanno aspri; l'arte diviene strumento - più o meno palese - di protesta. "Arte Contro". Mai arte di evasione, ma strumento di lotta. Parte da qui il grande sogno di rivoluzionare le regole di mercato in una trasformazione storico-politica di costume: si cerca di sfuggire alla pressione commerciale, in funzione di alternative da gestire in autonomia.
Il dissenso dilaga: ci si interroga sul perchè e sul come fare arte, tra individuo e collettività.
L'elenco è lungo e sicuramente non esaustivo. Si sono volute enucleare le personalità che hanno agito in vista di una radicale modificazione. Scrive De Micheli nel testo di introduzione al volume "Arte Contro" (Vangelista Editore, Milano, 1970), che riprende l'impostazione della mostra omonima: " L'artista, in ogni modo, continuerà ad agire entro un tessuto sociale determinato, in un'attività determinata, in quanto uomo-artista che fa parte integrante, non integrata, della realtà."
E Giangiacomo Spadari, nel 1970, afferma: "Io dipingo pensieri, ideologie: dò spessore d'immagine a tesi, analisi, contributi e questioni della scienza politica, fino a oggi esclusivo terreno d'indagine di saggisti e storici politici."
Spadari e i conflitti di classe. Spadari e la pittura di idee, non di emozioni. Nel colore aggressivo, fosforescente. Come il 'raptus' d'immaginazione di Antonio Recalcati, come la carica ideologica di indiscutibile efficacia di Sergio Sarri, per pagine nuove della figurazione. Così per Somarè. Paolo Baratella chiede "uno spazio umano" contro "i rapporti sterotipati ed alienanti"; Umberto Mariani elenca una lunga teoria di cose del consumismo per asserire "ci avete rotto le scatole". Con una pittura iconica, protesa sempre all'aspetto ideologico e culturale, così si muove Fernando De Filippi; così Fabrizio Merisi richiama limpide sarcastiche connotazioni figurali.
Emilio Tadini attua la sua denuncia, in una pittura intessuta di ironia e gioco nella componente narrativa dalle radici letterarie.
Ancora, la coscienza critica di Gioxe De Micheli su temi drammatici dedicati alla storia, alle idee, ai personaggi. Giancarlo Ossola continua ancora oggi quello scavo ossessivo nella memoria del tempo e delle cose, soggetto-denuncia di tante tele. Wanda Broggi e la questione da lei dibattuta sulla raffigurabilità, negli effetti combinatori di elementi iperrealistici. Vitale Petrus e l'utopia della ricerca che riorganizza la condizione dell'esistere. Agostino Pisani e le citazioni-pretesto per trasferirvi emozioni intellettuali. Appartato, Ernesto Ornati ripropone tecniche sapienti riprese dagli antichi plasticatori lombardi. Graziella Marchi enfatizza o minimizza in maniera inquietante la realtà; Vernizzi muove linee di sintesi molto individuali, nelle ombre scure.
 
Problematiche morali, psicologiche, sociali, nel lavoro dell'artista. Passioni e interessi, alimentati costantemente nella coscienza dell'esistere nella realtà rinnovata di cose e persone. La rappresentazione 'oggettiva', nei condizionamenti storici. La forza della verità come misura della Storia, mai andata misconosciuta pur nelle contraddizioni di una complessa situazione, spesso conflittuale, a Milano. Brani di vicende artistiche prodotte da un secolo ormai terminato, mai avaro di colpi di scena.

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