Milano e l'arte del dopoguerra. In una sorta di
contenitore di tutte le tensioni sociali e culturali,
qual è stata la metropoli lombarda, avviene una
rigenerazione autentica del "realismo",
protesta e scandalo per la sua carica provocatoria e per
l'energia in cui esso viene espresso. La centralità di
Milano nella vita intellettuale italiana, la
caratteristica di crocevia dell'arte internazionale
mantenuta per lungo tempo dalla città: tutto ciò
contribuisce alle sottolineature di pronunciamenti
d'arte e a incisive denunce per valenze nuove,
eloquentemente espresse da situazioni di creatività
particolari.
La percezione della realtà, che attinge al divenire
temporale in un fraseggio descrittivo tradizionale,
appare spezzarsi nell'urgere delle motivazioni di
fervide passioni ideali o politiche, intellettualmente
esplicitate.
Molto complesso, ma non discontinuo è il profilo
dell'arte innestata sulla figurazione che, dopo la
drammatica successione degli eventi bellici, si
ripresenta variato, per il clima polemico ricavato dagli
sviluppi successivi al movimento di
"Corrente", spartiacque negli orientamenti
artistici del secondo dopoguerra per via del
rinnegamento assoluto di ogni compiaciuta autarchia.
Edoardo Persico, voce critica di primario sostegno
alle istanze etiche di "Corrente", nella
conferenza del 5 giugno 1934 alla Galleria Il Milione
per la mostra di 4 giovani artisti (tra i quali si
annovera Renato Guttuso) afferma: "Se dovremo
restare dei sopravvissuti di un'epoca storica,
quest'arte sarà un documento che bisognerà consultare
più tardi."
Non più una statica visione classica (eppure sono gli
anni del "ritorno all'ordine" dichiarato dal
regime sul finire degli Anni Venti), ma un aggancio
sicuro alle avanguardie europee, fuori dalle pastoie
della retorica nazionalista, in un impeto di libertà
per ridefinire contenuti e forme.
Da qui parte la rivisitazione dell'esperienza
figurativa proiettata verso le aspre conquiste di una
cultura visiva non più codificata dalla tradizione.
Così come Picasso aveva inteso la pittura
"strumento di guerra offensiva e difensiva contro
il nemico", gli artisti di "Corrente", i
quali "sognavano - scrive De Grada - soltanto una
immaginazione più forte del reale, videro che la
realtà superava la loro stessa immaginazione".
La realtà non può più essere interpretata nella
rassicurante forma convenzionale, dopo l'immane tragedia
della guerra. D'altro canto, la tendenza più vasta è
quella di avviare una nuova sintesi, in un nuovo
rapporto tra immagine e forma. Non più la mimesi
derivata dall'esperienza sensoriale, in grado di
esprimere la realtà e la condizione umana, bensì la
suggestiva tramatura di interferenze tra invenzioni,
allusioni, realtà, per opere che nascono dalla
sensibilità dell'artista, in una individualità che gli
è propria per fondere gli accadimenti umani.
Asserisce Brecht: "Gli artisti realistici
rappresentano le contraddizioni insite negli uomini e
nei loro rapporti reciproci, e mostrano le condizioni
nelle quali esse si sviluppano". Dunque, la vita
nella sua evidenza, ma anche nella prospettiva di un
giudizio etico-sociale.
In Europa, esperienze come quelle di Sutherland e
Bacon in Inghilterra, De Stael in Francia, ad esempio,
fanno comprendere come gli artisti abbiano una
necessità di nuove metodologie di indagine, nella
"remise en question" della figurazione da
rimeditare, allargandone i confini.
Da qui la possibilità da parte dell'arte italiana
più avanzata, nel secondo dopoguerra, di disintegrare
le impalcature dell'ordine novecentista, per
incamminarsi sulla strada di un libero rapporto con la
dimensione europea.
Le due proposizioni di base articolate genericamente
tra "Astratto" e "Figurativo",
divengono breve momento unitario nella costituzione del
Gruppo "Nuova Secessione Artistica Italiana",
che prende subito la denominazione di "Fronte Nuovo
delle Arti" (ottobre 1946). Tra i primi firmatari
del Gruppo, nato seguendo un'idea di Renato Birolli,
sono Guttuso, Morlotti, Pizzinato, Santomaso, Vedova,
Cassinari (che ben presto ritira l'adesione) oltre agli
scultori Leoncillo e Viani. Nel '47 aderiscono i pittori
Corpora e Turcato, (quest'ultimo faceva parte anche del
Gruppo romano "Forma") gli scultori Franchina
e Fazzini. Ancor prima, nel marzo del '46, a Milano, il
periodico "Numero" pubblica il "Manifesto
del Realismo", noto come "Oltre Guernica",
datato "Milano, febbraio 1946" e firmato da un
folto gruppo di artisti che dichiarano: "Realismo
non vuol dire (quindi) naturalismo o verismo o
espressionismo, ma il reale concretizzato dell'uno,
quando determina, partecipa, coincide ed equivale con il
reale degli altri, quando diventa insomma misura comune
rispetto alla realtà stessa".
Nella mostra di Milano (12 giugno-10 luglio 1947),
alla Galleria della Spiga, Giuseppe Marchiori presenta
le esperienze fondamentali del Fronte Nuovo,
nell'impegno morale comune, pur nelle diverse scelte di
metodologia linguistica.
Guttuso, nella caratterizzazione continuamente
sperimentale della sua opera, si pone subito il problema
della tematica sociale, entro una figurazione formulata
in chiave cubista, con una dinamica di forme allusive a
riferimenti espressionisti. Dalla polemica frattura tra
Figurazione e Non-figurazione, avvenuta già dopo le
prime mostre, nasce il Realismo sociale che lascia
prevalere l'ideologia politica nel procedere formale.
Nella Biennale del 1952, il fronte del Realismo si
presenta compatto attorno alla "Battaglia di Ponte
Ammiraglio" di Guttuso, con opere di Treccani,
Migneco, Sassu, Mucchi, Francese, Zigaina, Mafai.
Altri, intanto, si muovono, tra mille polemiche, verso
progressive astrazioni di segno, dopo gli inarrestabili
cedimenti delle visioni realistiche.
Ma a Milano, diventa sempre più forte la crisi degli
intellettuali della sinistra, in seguito alle vicende
ungheresi: sembra che l'idealità del Realismo
socialista svanisca all'ombra dei carri armati
dell'invasione sovietica.
Il Realismo prende, allora, a indagare riflessioni
esistenziali nel nuovo dissenso politico che si sta
affermando. Fuori dell'aggrovigliarsi dell'antinomia
figurazione /astrazione, un gruppo di giovani pittori
persegue un'operazione di rinnovamento pittorico
incentrato sulla ricerca della verità nella condizione
umana. Sono i tracciati entro cui si muoverà quello che
diverrà il Realismo Esistenziale, così denominato in
modo intuitivamente felice da Marco Valsecchi, in un
articolo su "Il Giorno" del 30 aprile 1956.
Kaisserlian, dal canto suo, scrive per la mostra "Ceretti,
Guerreschi, Romagnoni", alla Galleria San Fedele,
1956: "...Questa loro disposizione a cogliere ad
occhi aperti una realtà fenomenica (e non cronachistica)
potrà forse permetterci un giorno di avere in sede
visiva una testimonianza della nostra epoca dilacerata,
e del suo muoversi."
Tra speranze e rifiuto, in una prosa pittorica
addensata nel disagio dell'esistere, l'arte si avvede di
situazioni metropolitane svelate in una gamma
coloristica senza aggressioni cromatiche, inscritte nei
toni più cupi a significare la solitudine, talora la
protesta silente. E' il profilo antiretorico ispiratore
di quel gruppo di giovani che agli inizi degli Anni
Cinquanta frequenta l'Accademia di Brera.
Annota Giuseppe Banchieri in uno scritto successivo:
"Era il primo giorno che frequentavo Brera. Per due
anni avevo fatto l'Accademia a Firenze. Mi indicarono
l'aula del professor Carpi. Entrai: dentro c'erano
tutti, dico Romagnoni, Guerreschi, Vaglieri e Ceretti.
Mi parve di conoscerli da tempo, lessi nei loro volti,
istintivamente, che erano le persone giuste, quelle che
avevo sempre cercato, senza aver l'idea di dove le avrei
potute trovare. La nostra amicizia s'incanalò subito
sul piano quotidiano dell'incontro, della
frequentazione, delle discussioni accanite e senza mezzi
termini.."
Essi prendono immediatamente le distanze dagli assunti
ideologici cristallizzati entro il Realismo di marca
guttusiana. "Noi non volevamo infatti - continua
lucidamente Banchieri - fare politica attraverso
quadri-manifesto o dichiarazioni programmatiche, ma
attraverso una ricostruzione dell'uomo, esterna e
interiore insieme."
Romagnoni parla di "... adesione umana oltre il
fatto di cronaca". E Ceretti ribadisce "una
ribellione dell'uomo alla condizione umiliata della sua
esistenza, una opposizione irriducibile a tutto quanto
sapesse di artefatto, di élite culturale, di ghetto
classista. Certo sarebbe errato credere che la nostra
situazione d'allora corrispondesse a un movimento, a un
gruppo ben organizzato...".
Dunque, un'atmosfera di impegno civile oltre che
culturale, che ben presto dilaga e trova adepti. Ma agli
esordi di quello che non è mai stato un movimento, vi
sono i realisti esistenziali che a Milano puntano
energicamente a uscire dagli schemi creativi
predefiniti, fuori anche dalle componenti di mercato
troppo strette.
Guerreschi, Romagnoni, Ceretti, Banchieri, Vaglieri,
Ferroni, con la presenza dello scultore Floriano Bodini.
Il loro immaginario visivo si carica di fantasmi
immersi nell'assillo del reale. La provocazione mira a
nuove valenze figurative, spiazzate tra storia e vita,
con i risvolti degli eventi della quotidianità. Lo
scenario urbano milanese coinvolge gli artisti in
immagini emblematiche, dove il non-colore spesso azzarda
interni in cui le figure paiono larve umane, mentre le
periferie e le fabbriche sono visioni oscillanti nei
difficili segnali di disagio e di insofferenza. Forte
l'emozionalità di Vaglieri che nel 1956 dipinge
"Morte del minatore", quadro esposto alla
Civica Galleria d'arte di Gallarate nella mostra da me
curata "Guerreschi e il Realismo
Esistenziale", a fianco di opere storiche come
"Ragazzi che giocano alla guerra", 1957,
espressa nel forte rigore morale di Guerreschi. Ancora
citiamo, da quella mostra, "Crocifisso n°1"
di Bodini, metafora che lacera l'aria intorno e quell'
"Uomo allo specchio rotto", 1957, di Ceretti,
opera vissuta in un disincanto disperato. Il
"Soldato con arma", sempre del 1957, di
Romagnoni, i "Sassofoni" di Banchieri,
"Il cieco di Via Garibaldi" di Ferroni
appaiono prove di altissima coscienza, pronta a motivare
un disorientamento esistenziale.
Sulla stessa linea interpretativa, nell'attuale mostra
milanese, si è voluto privilegiare l'inedito,
proveniente da collezioni private, con opere dense di
lampi e illuminazioni sull'uomo, come di ripiegamenti
accentuati dall'alta poesia della gamma coloristica
cupa.
Le opere esposte mantengono sempre quella presa
diretta con la complessità esistenziale e le profonde
ragioni dell'uomo, nelle esperienze artistiche di quei
primi anni.
L'eredità di "Corrente" trova negli Anni
Cinquanta proprio a Milano humus fertile per produrre
confluenze tra idealità cattoliche e marxiste, come
negli artisti del Realismo Esistenziale. Si leggono i
testi 'sacri' di Camus e di Sartre. Molte le seduzioni
che giungono dalla Francia con l'impegno morale di
André Minaux e Paul Reyberolle, registrati nel gruppo
di quei giovani pittori che, a Parigi, lavorano nel
degradato edificio della Ruche.
I termini di una dialettica molto vicina, che
problematizza la dimensione del Realismo, già si
ritrova in Giansisto Gasparini e Franco Francese, più
maturi di qualche anno di quei giovani di Brera; sono
loro due che danno avvio a quel tormento interiorizzato
e a quello scavo che smuove dal fondo dell'anima i
malesseri e le alienazioni di esistenze difficili.
Parecchi di questi temi espressi da Gasparini in alcune
tele di quegli anni, nelle ansie e nelle conflittualità
di una poesia agitata da figure fantasmatiche, come il
corrosivo spirito di Francese, spesso avviato su
tracciati di profonda malinconia, vengono ripresi in
vario modo da quei ragazzi di Brera. Mi riferisco alle
mostre del '56, l'una (già citata) alla Galleria San
Fedele che vede accostati Ceretti, Romagnoni,
Guerreschi, le altre alla Galleria Pater, con le
'personali' di Banchieri e Vaglieri, presentati da Mario
De Micheli.
Le vie dell'arte a quei tempi si intrecciano, in
coincidenze, in spunti affini, in giudizi molto vicini.
La continuità del Realismo alla fine degli Anni
Cinquanta si muove già su differenti strategie,
rispetto ai primi anni del Dopoguerra.
La terminologia di Nuova Figurazione compare in
Francia e in Italia intorno al '60 e si riferisce a
un'area pittorica molto ampia, attraverso un'iconografia
connessa a immagini in vari modi ricollegabili a modelli
della realtà. La panoramica artistica del tempo appare
dominata dall'affermazione incondizionata
dell'Informale. L'area di ricerca della Nuova
Figurazione, a Milano, accoglie artisti che hanno
ereditato le problematiche politiche e ideologiche del
Realismo, sfociate nella crisi del Comunismo Italiano.
Non più Realismo come tendenza culturale, bensì come
criterio stilistico, accentuato da una rilettura in
chiave di situazione critica delle ideologie politiche.
La tematica risulta essere quella urbana, argomento che
riesce a inserirsi in una logica progressista di mercato
dell'arte che si va affermando un pò ovunque. Il
vecchio sistema di committenza ideologica lascia spazi
nuovi alle gallerie di tendenza.
A Milano, Mario De Micheli promuove la Nuova
Figurazione nella continuità del Realismo, anche se
spesso gli sguardi dei pittori vanno diritto verso
l'Informale, in un avvicendamento di tecniche e di
esecuzione. Non esistono più confini troppo rigidi; De
Micheli stesso parla di "tendenza tra le
tendenze", secondo una linea di lavoro che
privilegia la libertà stilistica in un discorrere
artistico divenuto più etico, che ideologico.
Il fronte degli artisti è molto vasto e coinvolge
anche pittori fuori del territorio lombardo che si
portano a Milano e con la loro pittura definiscono un
giudizio morale, una dolorosa confessione privata.
Serpeggiano l'inquietudine sulla sorte dell'uomo, la
tensione a una nuova contemporaneità, il sentimento di
una realtà insicura, mobile.
Gli stessi artisti del Realismo Esistenziale si
muovono negli Anni Sessanta entro quella modification di
Michel Butor che in "Repertoire" (1960)
scrive: " Per ricostruire una storia, ci si rifarà
a quel che si è vissuto e che si vede ogni giorno, si
descriveranno i fatti, i gesti, gli oggetti e i
sogni."
Insomma, una "concatenazione" di circostanze
in una "relazione" di fatti, entro un racconto
del quotidiano che è cronaca, ma è soprattutto stato
d'animo.
Se Ceretti, Romagnoni, Vaglieri sviluppano narrazioni
legate al rapportarsi degli uomini, a loro si affiancano
Aricò, Bellandi, Schiavocampo.
A Ferroni e Banchieri si unisce Sandro Luporini, in
una mostra da Bergamini nel 1959. Il gruppo dei
toscano-versiliesi raggruppa Sandro Luporini, Giuseppe
Martinelli e Giuseppe Giannini, che accrescono vieppiù
a Milano la loro gamma espressiva commovente e tragica.
Nel 1959, Romagnoni scrive dal canto suo, nel 1960, una
pagina di catalogo dal titolo emblematico di "Nuove
possibilità di relazione".
Il romagnolo Cappelli drammaticamente recupera lacrime
e sangue dell'uomo solo. Divorano tutto i grigi
acciaiosi di Luigi Timoncini. Si inasprisce la pittura,
medium esistenziale in Caminati, Liberio Reggiani,
Scapaticci. Adolfo Borgognoni interpreta la fisicità
delle cose in una esasperazione lirica; Cazzaniga apre
ai suoi tormentati "Jazz Men". Ancora, Leddi,
Dimitri e Pietro Plescan, Francesconi. Altri proseguono
le ricerche senza più termini di riferimento
fondamentali.
Scrive lucidamente Romagnoni in una pagina per
"Civiltà delle macchine":
".... Non è difficile constatare come tutti
parlino della nuova figurazione in termini
contraddittori senza che esista un'interpretazione
prevalente: per alcuni basta che appaiano sui quadri
alcuni elementi riconoscibili della comune esperienza
visiva, per altri che questi elementi vengano
classiificati in un qualsiasi antropomorfismo, per terzi
che questo antropomorfismo venga indirizzato verso
ragioni e motivazioni sociali o magico-religiose o
emblematiche ecc., per quarti, rifiutando ogni
esperienza mimetica, è l'assunzione dei più avanzati
protocolli della visibilità, per quinti la cattura
immediata del tempo 'in fieri', per sesti l'invettiva
iconoclasta, per settimi la pura e semplice
restaurazione di alcuni o di tutti i valori, per ottavi
il ritorno alle origini dell'avanguardia, per noni la
giustificazione di passate battaglie e l'occasione di
nuove, e per decimi una trovata mercantile...Per nuova
figurazione c'è insomma un grande armadio dove si può
rintracciare ogni cosa."
Una tensione morale e insieme spirituale concretizza
una sintesi artistica di tante discussioni, di tante
riflessioni, di tanti scritti, spesso aggressivi,
determinati a far uscire l'arte dagli schemi d'élite.
Si aprono agli incontri e alle esposizioni collettive
nuove cooperative, sedi sindacali, librerie emergenti a
Milano e nell'hinterland. Sono luoghi inediti per
esporre la dolente umanità di personaggi trafitti dal
destino, nell'ansia di ricreare un nuovo mondo, nel
rifiuto della retorica, nelle testimonianze appassionate
ed esaltanti.
La cultura sta cambiando, frammentandosi in diversi
linguaggi, in spinose problematiche: le ricerche si
dividono in molte individualità senza manifesti
programmatici, ma solo accostabili per sintonie, per
confluenze di affinità elettive.
Nelle vicende storico-sociali della metropoli
lombarda, si inserisce ancora una volta l'attenzione da
parte degli artisti verso realtà in posizione critica
contro l'Astrattimo e l'Informale, in opposizione alle
nuove tendenze che negli Anni Settanta sconvolgono il
cammino dell'arte, come il Minimalismo, l'Arte Povera,
il Concettuale. Si attesta in modo fondamentale il
divario tra il fare arte e la riflessione sull'arte.
Gli Anni Settanta si aprono a Milano nel segno di una
sorta di ricomposizione di un nucleo di artisti legati
alla figurazione, che non segue il discorso 'pop', nè
le istanze 'urbane' dei pittori della Nuova Figurazione.
La mostra "Arte Contro", che De Micheli
organizza ad Arezzo (con il sottotitolo "1945-1970/
dal realismo alla contestazione") acquisisce
connotazioni eminentemente politiche. Mostre molto ampie
(come la XXVII Biennale di Milano) coinvolgono artisti
di diversa provenienza territoriale, ma convergenti su
tematiche d'impegno militante. Varie sono le rassegne
d'arte allestite entro i circuiti dei Festival
dell'Unità. La lotta dichiarata della classe operaia
contro il capitalismo entra anche nei dibattitti degli
artisti, si propone come modello narrativo nelle nuove
tendenze della pittura.
Rimane in sottofondo il timore che l'arte possa
dissolversi nel puro atto di pensiero o nella tecnologia
che avanza imperiosamente. La figurazione non è affatto
scomparsa. Anzi.
Da posizioni differenti per caratterizzazione
espressiva, per declinazione estetica, le grandi
tematiche connesse alla storia dell'uomo,
specificatamente nelle trasformazioni della società,
assumono i significati profondi delle offese e delle
lacerazioni che portano alla rivoluzione, all'urto
cruento per arrivare la mutamento generale.
I conflitti generali si fanno aspri; l'arte diviene
strumento - più o meno palese - di protesta. "Arte
Contro". Mai arte di evasione, ma strumento di
lotta. Parte da qui il grande sogno di rivoluzionare le
regole di mercato in una trasformazione storico-politica
di costume: si cerca di sfuggire alla pressione
commerciale, in funzione di alternative da gestire in
autonomia.
Il dissenso dilaga: ci si interroga sul perchè e sul
come fare arte, tra individuo e collettività.
L'elenco è lungo e sicuramente non esaustivo. Si sono
volute enucleare le personalità che hanno agito in
vista di una radicale modificazione. Scrive De Micheli
nel testo di introduzione al volume "Arte
Contro" (Vangelista Editore, Milano, 1970), che
riprende l'impostazione della mostra omonima: "
L'artista, in ogni modo, continuerà ad agire entro un
tessuto sociale determinato, in un'attività
determinata, in quanto uomo-artista che fa parte
integrante, non integrata, della realtà."
E Giangiacomo Spadari, nel 1970, afferma: "Io
dipingo pensieri, ideologie: dò spessore d'immagine a
tesi, analisi, contributi e questioni della scienza
politica, fino a oggi esclusivo terreno d'indagine di
saggisti e storici politici."
Spadari e i conflitti di classe. Spadari e la pittura
di idee, non di emozioni. Nel colore aggressivo,
fosforescente. Come il 'raptus' d'immaginazione di
Antonio Recalcati, come la carica ideologica di
indiscutibile efficacia di Sergio Sarri, per pagine
nuove della figurazione. Così per Somarè. Paolo
Baratella chiede "uno spazio umano" contro
"i rapporti sterotipati ed alienanti"; Umberto
Mariani elenca una lunga teoria di cose del consumismo
per asserire "ci avete rotto le scatole". Con
una pittura iconica, protesa sempre all'aspetto
ideologico e culturale, così si muove Fernando De
Filippi; così Fabrizio Merisi richiama limpide
sarcastiche connotazioni figurali.
Emilio Tadini attua la sua denuncia, in una pittura
intessuta di ironia e gioco nella componente narrativa
dalle radici letterarie.
Ancora, la coscienza critica di Gioxe De Micheli su
temi drammatici dedicati alla storia, alle idee, ai
personaggi. Giancarlo Ossola continua ancora oggi quello
scavo ossessivo nella memoria del tempo e delle cose,
soggetto-denuncia di tante tele. Wanda Broggi e la
questione da lei dibattuta sulla raffigurabilità, negli
effetti combinatori di elementi iperrealistici. Vitale
Petrus e l'utopia della ricerca che riorganizza la
condizione dell'esistere. Agostino Pisani e le
citazioni-pretesto per trasferirvi emozioni
intellettuali. Appartato, Ernesto Ornati ripropone
tecniche sapienti riprese dagli antichi plasticatori
lombardi. Graziella Marchi enfatizza o minimizza in
maniera inquietante la realtà; Vernizzi muove linee di
sintesi molto individuali, nelle ombre scure.
Problematiche morali, psicologiche, sociali, nel
lavoro dell'artista. Passioni e interessi, alimentati
costantemente nella coscienza dell'esistere nella
realtà rinnovata di cose e persone. La rappresentazione
'oggettiva', nei condizionamenti storici. La forza della
verità come misura della Storia, mai andata
misconosciuta pur nelle contraddizioni di una complessa
situazione, spesso conflittuale, a Milano. Brani di
vicende artistiche prodotte da un secolo ormai
terminato, mai avaro di colpi di scena.