- Eros Pellini
- Il tempo interiore. La quotidianità e il sacro.
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- "Amo il vero e non posso staccarmi da esso".
L'affermazione di Eros Pellini trova riscontro,
direttamente o indirettamente, nella sua scultura, con
cui ha inteso stabilire, sì un dialogo con la
tradizione, ma al di là di ogni esteriorità mimetica,
inseguendo un proprio ideale di plasticità nella
riflessione e nella introspezione inseguite su percorsi
umani. Fonte di ispirazione primaria, in una ricerca
volta all'armonia formale, è la vita da cogliere con
occhio attento e amoroso.
- La seconda guerra mondiale elimina gran parte della
statuaria celebrativa di regime nella divisione ben nota
tra artisti 'indipendenti' e 'ufficiali'. Eros Pellini
si ritrova 'molto' vicino a Wildt e ad Arturo Martini,
autori che egli soleva indicare quali maestri assieme al
padre Eugenio. E proprio di Martini egli cattura
quell'ispirazione che l'avvicina di più agli antichi
che ai contemporanei, in quel composito stile che gli
diede fama. L'insegnamento di Martini, pur nelle sue
inquietanti contraddizioni come i pensieri relativi a
"scultura, lingua morta", era stimolo attivo
per i giovani di quel tempo che intendevano allontanarsi
dal classicismo accademico, sulla via giusta per una
nuova generazione di scultori italiani. Eros Pellini
sente dentro sè richiami lombardi identificabili in
quel sapore antico derivato dall'arte romanica.
- La vena pelliniana si identifica ben presto in una
scultura piena di sfumature recondite, con accenni
poetici nella modulazione plastica essenziale, pronta a
richiamare una morbida intimità.
- Da quel "Ragazzo che tira l'arco", opera
giovanile oggi perduta, esposta alla mostra dei
Sindacati nel 1932, si giunge ben presto al bassorilievo
"La Terra", 1946, della Sala Alessi di Palazzo
Marino, Milano, dove il modello classico si anima di un
particolare sentimento interiore. La stesura è ben
conclusa nella sintesi di un raccontare suadente,
configurato in una armoniosa proporzione formale.
- L'apprendistato di Brera si è ormai definito in un
suo modo connaturato con lo spirito; rimane fondamentale
l'essenza poetica di ogni figura che trattiene in sè
quei valori ideali espressi in tutta serenità, ordine,
equilibrio, lontani dalle grida, dalle lacerazioni
violente. Il rifuggire dalle tensioni espressionistiche
nulla toglie alla storia che ogni figura reca in sè,
negli affanni intimamente vissuti, anche se non
apertamente palesati. Eros Pellini si addentra nei
grandi temi della vita, quali l'amore, il sacro, la
famiglia, con una propria sobrietà espressiva, che
diverrà la sua cifra principale. Sia nella coralità
delle grandi composizioni religiose e nelle sculture
cimiteriali, sia nell'attenzione affettuosa e sensibile
agli aspetti familiari della quotidianità, egli imprime
naturalezza e semplicità: nella levità dell'apparire,
i personaggi lasciano intravvedere l'anima.
- Sin dagli Anni Trenta, iniziano le affermazioni nel
non facile mondo della scultura; tra gli altri,
l'acquisizione del Premio Tantardini lo collega
idealmente al padre Eugenio.
- Nel 1939, l'importante commissione per il tempio di
Santa Rita a Cascia lo vede impegnato per un decennio
nella realizzazione delle sacre sculture. E' chiamato
alle manifestazioni espositive di maggior rilievo, alle
Biennali di Venezia, alle Quadriennali di Roma, alle
Mostre Internazionali del Bronzetto a Padova.
- Una dedica speciale va all'insegnamento, cui Pellini
attende con grande amore verso i giovani. Varie le
committenze civili, tra le quali sono da citare "Le
quattro stagioni" della Fontana di Piazza Giulio
Cesare, a Milano; qui l'ammirato assunto romanico
lombardo si esprime in una misura entro un'aura di
serenità, come sarà ancora possibile ritrovare nella
dimensione particolare del bassorilievo "I vecchi
mestieri", dello Stomatologico di Milano, dove
l'artista non rinuncia alla amata medievalità di tono
nella sequenza compositiva.
- Nel Duomo, al Monumentale, al Palazzo di Giustizia, ai
Musei Vaticani si rintracciano i molti lavori della sua
vita artistica, lontana dagli 'ismi', ma presente nel
tempo, in una coscienza precisa dei propri mezzi
espressivi e del contributo personale da offrire.
- Nell'atelier luminoso che fu del padre, in via
Siracusa, nascono le figure femminili, create in una
narrazione sciolta e affettuosa del modellato.
- Nelle varie esecuzioni di "Ragazza
Lombarda", Pellini liberamente lascia fluire le
qualità della sua terra." Amo la mia terra -
diceva - ne apprezzo la potenza e la generosità ".
E la "Bagnante" del Premio Bagutta 1965, come
la "Ragazza che cammina" dello stesso anno,
ben si inseriscono nella peculiare sensibilità
interpretativa, nell'immaginario caratterizzante delle
'sue' donne, dalle ballerine alle figurette delicate e
vibrate in una straordinaria varietà di modulazioni.
- Negli Anni Settanta, la vena scultorea di Eros Pellini
accentua una maggior speditezza nella rappresentazione
dei personaggi, che talora, anche se in gruppo, si
mantengono 'isolati' nella loro interiorità. Così, una
pacata energia si dissolve negli "Acrobati",
come nel bronzetto "La Famiglia
dell'Architetto", che assume valenze atemporali
nell'immediatezza domestica, vicina al sentire di
artisti quali Messina e Manzù.
- Avvicinandosi agli Anni Novanta, quasi a concludere un
percorso d'arte felice e ricco di inventiva, Eros
Pellini acuisce certi aspetti bozzettistici, dal tocco
rapido; nascono in tal senso opere come "Colpo di
vento" del 1991 o "Il Gallo" oscuro e
scomposto o certi scontrosi Cavalieri della fantasia,
come il "Don Chisciotte".
- Nelle memorie autobiografiche, si sente il rispetto
per la manualità, quale fondamento della scultura,
appresa dal padre adoperando quel 'violino', 'strano
arnese' che da bambino aveva imparato ad usare. Il suo
racconto è terminato quell'otto di ottobre del 1993; la
sua anima d'artista, sensibile e generosa, è dinnanzi
alla verità.
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- Eugenio Pellini
- Iconografia del sentimento
- La fisionomia artistica di Eugenio
Pellini appare connessa ad una tipologia di scultura
lombarda tardo-scapigliata, con una seduzione
particolare offerta da un sentimento di modernità
pronto a ravvivare espressioni plastiche pregnati di
un'idealità profonda. Il discorso prende avvio da una
iconografia legata al gusto della società
fine-Ottocento, che rivolge molto spesso uno sguardo
alla rappresentazione del privato e del sentimento per
evolversi nei riverberi umani e sociali delle istanze
più avanzate del tempo.
- Uno dei fili conduttori più amati
nell'arte di Eugenio Pellini riguarda le 'piccole cose'
della quotidianità, con un'attenzione precisa al mondo
della fanciullezza e alla condizione infantile nei
caratteri più generali. Sono tenere figure, espresse
nel bronzo e nel gesso, testimoni pieni di grazia e di
malinconia; intenti ai loro giochi appaiono in una
riservata espressione, nel magico cerchio difficile per
un adulto da violare.
- Il tema infantile è significativo
nella produzione dell'artista, sempre animata dall'ansia
di raccontare i grandi sentimenti nel modo più
semplice.
- Non sempre i bambini appartengono
alla realtà delle classi abbienti, nella modellazione
che li rivela nel momento appartato del gioco o
nell'amorosa e struggente simbiosi dell'affetto materno,
come lo sono "Bambini che giocano" del 1884 o
la coeva "Madre col bambino". Il repertorio
dello scultore si ispira talora a definizioni più
argutamente popolane: compaiono fanciulli che riportano
più espressamente a parentele medardiane, dalla
peculiarità psicologica molto intensa.
- Vibrante e acerbamente spavaldo,
il "Monello" alias "Fanciullo di
Nazareth", 1891, riunisce in sè la forza simbolica
del Bambino-Cristo e l'immediatezza visiva del figlio
del popolo.
- Eugenio Pellini, in tal modo, si
'sente' in una prospettiva storico-artistica calata
nell'atmosfera lombarda di fine-secolo, a coinvolgere
verismo, simbolismo, talora impressionismo nonchè
idealismo familiare e collettivo. Personalissimo è
questo rappresentare pensieri e sentimenti nella maniera
più semplice e gentile, nelle venature appena accennate
di una malinconia suasiva e intensamente affascinante.
Medardo Rosso è di certo il modello più amato e
cercato in un approfondimento continuamente meditato
nella vocazione all'antimonumentalità e nel tocco
sensibile alla luce. Non scevro di significati è il
rapporto intrattenuto con Paolo Troubetzkoy nel panorama
della produzione otto-novecentesca di piccole sculture
in bronzo o in marmo, da inserire in ambito familiare,
figurine struggenti nella loro sommessa espressività.
- La stessa leggibilità stemperata
nella cultura artistica di Pellini la si ritrova nelle
commissioni funerarie, cui erano chiamati gli artisti
della sua generazione dal Bistolfi al Butti, al Bazzano.
- L'opera monumentale più nota è
sicuramente il "Cristo nel Getsemani", 1895;
isolato, immobile, il volto affilato teso verso l'alto,
il Gesù di Pellini è già un'apparizione fuori del
tempo e dello spazio.
- La tenzone artistica col Bistolfi
aveva già preso evidenza ne "L'Angelo del
Dolore", 1894; si ribadisce quel rifuggire
pelliniano dal pittoresco e dal declamatorio verso una
imponderabilità spirituale, che si volge ad una
sensibilità nuova supportata da una levità d'immagine
di marca simbolista-floreale.
- Le immagini, naturalmente
leggibili, chiariscono bene il suo talora polemico
pensiero sugli eccessi di orientalismo e sulle esigenze
declamatorie di alcuni noti artisti coevi. L'intesa con
Alfredo Melani, architetto e intelligente teorico del
Modernismo, traduce l'interesse di Pellini verso le
problematiche culturali che si agitano nel trapasso del
nuovo secolo, esplicitamente catturato dal linguaggio
liberty. In armonia con l'evoluzione del gusto, la
vocazione pelliniana si caratterizza nell'ansia di
offrire grandi valori etici nel privato e nei temi
civili, attraverso un'intensa tensione poetica nel
piglio scultoreo e nell'ambivalenza dei titoli 'doppi'.
- Nel 1897 ritorna la tematica a lui
cara della 'Maternità': "Madre" vince il
Premio Tantardini e viene scelta per essere inviata a
Parigi, per l'Esposizione Universale del '900. Un gioco
sottile di equilibrio si realizza tra i corpi avvinti
della madre e del bambino, quasi assorbiti l'un l'altro
e sublimati nell'atto del più alto sentimento d'amore,
tanto efficacemente esemplificato in uno spazio scultore
determinato.
- Eugenio Pellini non ha tralasciato
mai i soggetti familiari in cui ricorrono spesso il
volto della moglie e le presenze dolcissime dei figli,
anche quando l'artista si ritrovava coinvolto in
importanti partecipazioni a concorsi pubblici, come per
il monumento da dedicare alla mitica partenza dallo
Scoglio di Quarto, o per le porte del Duomo di Milano
oppure per il Giuseppe Verdi.
- La figura dell'"Eroe dei Due
Mondi", 1901, è demitizzata nell'interiore
gestualità di 'Buon Pastore', siglata dall'avanzamento
statico della figura riconoscibilissima che protegge
l'animale tremante. La stessa caratteristica
inclinazione la si ritrova nel "Giuda" e nel
"Minatore", entrambe opere del 1906, create
nell'ispirazione prevalente da riportare a Michelangelo
e a Rodin, quest'ultima paternità illuminante per il
"Carlo Marx", 1913, che palpita nelle nitide
scalpellate sul gran masso di pietra.
- La scultura di Eugenio Pellini
nulla trattiene di certa retorica del tempo; nel
privatissimo come nel pubblico, l'impegno suo d'artista
si mantiene entro un delicato, costante equilibrio tra
forma, volume e introspezione. Con mano leggera, nel
contempo sicura, egli traduce nell'espressività
plastica il sentimento interiore ribadito in una
sapienza tecnica che sa addolcire il dettaglio nei
morbidi trapassi dei piani costruttivi.
- Gesso, marmo, bronzo. Soprattutto
nel gesso si coglie la valenza luministica che rivela
l'indagine psicologica nei passaggi di matericità tra
levigature e superfici scabre.
- Dal monumentalismo alla piccola
dimensione, emerge sempre la componente spirituale,
intimamente congiunta alla materia.
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- Adriano Bozzolo
- Musicalità e slancio nella stilizzazione scultorea
- In ogni sua biografia si legge come riferimento
costante, il provenire da una famiglia antica, di ceppo
lombardo, stabilitasi, fin dal Cinquecento, nella
Valmarchirolo.
- Una famiglia da cui è scaturita una lunga teoria di
stuccatori, pittori, scultori, andati a decorare palazzi
e chiese, com'era in uso nei secoli andati, in quel di
Lucerna, di Zurigo, di Vienna e in altri luoghi di
grande prestigio.
- Di questa secolare genealogia costituita da gente
solida, attiva, sapiente nel proprio lavoro, Adriano
Bozzolo è l'epigono. Anche se la scelta pare obbligata,
la vocazione d'arte si manifesta fin dalla più tenera
età, quando viene a contatto con gesso, colori,
argilla.
- Sante Bozzolo, il padre, continua con sapienza la
'dinastia' dei decoratori di ville, chiese, palazzi, ma
è anche pittore e scultore.
- La frequentazione del Liceo Artistico di Brera e
parallelamente gli studi musicali danno alla formazione
del giovane Adriano la consapevolezza dell'arte, da
declinare non solo come disciplina unidirezionale,
bensì come momento pronto a distillare le tante
possibilità emozionali ed espressive.
- La pratica d'arte che lo porta verso la scultura
sembra riassumere una consapevolezza antica e, al tempo
stesso, gli offre una libertà di sintassi legata alle
consonanze contemporanee.
- La maturazione si compie, via via, negli anni nella
coerenza di una poetica da cui mai si è allontanato. A
guardare la sua produzione dal Cinquanta ad oggi, tutto
pare inserirsi in un 'continuum' di ritmi plastici che
da ogni singolo pezzo si distende al 'corpus' delle
opere in generale. E' una compiutezza narrativa che si
scandisce nella musicalità dei gesti, nella distensione
ascetica dei motivi; l'equilibrio formale è sempre
frutto di una ricerca che non si pone mai il limite dei
rapporti volumetrici o del puro decorativismo.
- Siamo dinnanzi a pagine di un unico racconto che
prende avvio da poetiche intuizioni di vitalità della
materia, per una universalizzazione della forma che
acquisisce i sentimenti di un arduo, risentito
messaggio.
- Lo slancio utopico germina dal "Tema della
Fraternità", sogno in cui crede fermamente Adriano
Bozzolo, anche se ben conosce il lungo tormentato
itinere dell'uomo.
- E la "Danza della Fraternità" si raccoglie
nelle tre figure di adolescenti, pudiche e leggiadre,
convincenti nella plastica nitida, pronta a innescare un
simbolismo assolutamente non banale.
- Il tema si ripropone successivamente con una
stilizzazione sempre più trascendente, in una tensione
di movimento che diviene essenziale nell'opera
scultorea. Le forme tendono vieppiù all'incorporeità,
quasi a farsi anelito per spezzare catene e sondare una
spiritualità arcana.
- Nella sequenza dedicata al "Grande Sole",
l'evoluzione del cerchio si definisce perimetro e
superficie, ma sempre potenza sorgiva della vita, nella
visione magica di un divenire esistenziale. La
rigenerazione spirituale si accentua, nell'ossessiva
presenza di una luce folgorante da cui uscire o a cui
tendere. L'emozione della musica si svela momento unico
ispirativo, fuori dalla sola enunciazione formale.
- "Esplosione musicale" propone le angolazioni
delle membra a tendere le vesti, sì da sprigionare uno
straordinario cinetismo; la figura pare ormai sollevata
dal terreno, freccia vibrata verso l'infinito.
- La monumentalità della statuaria tradizionale si
disconosce nelle opere di Bozzolo, fino a raggiungere la
tanto agognata immaterialità.
- "Sete di luce" perfora il cielo nel ritmo
ascensionale, svettando nella vibrazione di una
musicalità espressa plasticamente. La trasfigurazione
della figuralità, nelle suggestioni estreme
dell'apparire, sembra compiersi.
- Anche nel bassorilievo, tutto fluisce d'impeto verso
lo spazio libero. Verso l'assoluto, cui l'Umano da
sempre anela. Fuori da ogni retorica, nella solennità
del vivere.
- Lo slancio si evidenzia in linee rette, in angolature
decise, nell'essenzialità delle parvenze corporee, che
solo qualche riscontro anatomico rivela reali.
- Di getto, i disegni riprendono i motivi di presenze
muliebri, di cori angelicati. Tra reale e trascendente,
il gesto e il segno si affermano in atteggiamenti
equilibrati, tendenti per qualche verso ad astrarre
sempre più gli elementi formali.
- L'arte di Adriano Bozzolo è soprattutto un messaggio
rivolto al sentimento sacro della vita, alla fratellanza
universale, a quella religiosità intrinseca all'animo
dell'Uomo.
- Sensibilità e stile, dalla poetica dell'artista, si
traducono nel linguaggio della scultura, del disegno,
della pittura. Ed è la pittura, un altro modo, per
'sentire' la sua emozione approfondita nella produzione
plastica; anche qui il movimento incalza nelle figure
tese a evadere dalla prigione terrestre. Tra colore e
luce, ancora una volta, ogni figura si discioglie in
volo nell'armonia del creato a cui mirare. La
divaricazione e l'angolatura delle membra rendono ancor
più filiformi le suonatrici di tromba, dove lo
strumento continua idealmente il corpo liberato quasi
totalmente dal suo peso.
- Mostra dopo mostra, committenza dopo committenza, al
di qua e al di là delle Alpi, tra Italia e Svizzera, la
delicata ma ferma poesia di Bozzolo si amplia in esiti
felici, supportati dalla coerenza di pensiero e dalla
padronanza tecnica.
- La musicalità delle esecuzioni si riconferma, in una
narratività lirica e distesa, per tutto l'arco
cronologico creativo che non si è ancora compiuto, ma
si è definito sul piano umano, volto all'eternità.