La necessaria
premessa
E' la nuova 'città che sale' dopo la tragedia di
una guerra sovrastante la giovinezza di una
generazione di artisti. Milano, tra gli Anni Cinquanta
e Sessanta. L'inurbamento, sotto la spinta delle
grandi emigrazioni dalla campagna. Le metamorfosi
sociali e culturali, le immani accelerazioni per
cancellare le distruzioni e le ferite lasciate
dall'impatto bellico. E' indubbio il ridimensionamento
nei rapporti con la realtà, nel panorama mutato
dell'arte del dopoguerra. Il Realismo Esistenziale
ribadisce la sua estraneità alla cultura dominante,
ha riferimenti diretti con le irrinunciabili urgenze
del vivere nell' 'environment-uomo', lontano
dall'apparenza dei gesti e delle circostanze, alla
ricerca di significati da decifrare nei riflessi di
un'interiorità autonomamente rappresentata nel
visibile. L'Indagine si conferma in ambito milanese,
dove i 'realisti esistenziali' trovano fertile
territorio per manifestare una sorta di neo-etica
rintracciabile entro spazi nuovi per l'arte. Nel
panorama urbano di una Milano sempre più aperta a
fermenti intellettuali, si incontrano Giuseppe
Guerreschi, Mino Ceretti, Bepi Romagnoni, Tino
Vaglieri, Giuseppe Banchieri. Sono gli esordi degli
Anni Cinquanta; poco dopo arriva Gianfranco Ferroni;
ai pittori si affianca lo scultore Floriano Bodini.
Sono tutti giovanissimi, frequentano l'Accademia di
Brera, trascorrono una difficile esistenza d'artista e
aspirano a rappresentare la vita, tout court.
Religiosità e socialità in loro confluiscono in una
dimensione autenticamente riferita all'uomo, nei
convincimenti più alti e più profondi. La
sperimentazione artistica procede sulla strada delle
grandi battaglie per disintegrare l'impianto
tradizionale della figurazione. Il grumo originario
delle ribellioni mette stabili radici a Milano, centro
nevralgico dell'arte nel nostro secolo, terreno di
lotte fin dagli Anni Trenta, contro il 'Novecento' nel
suo evolversi più accademico. Il destino si ripete un
decennio più tardi nelle istanze di 'Corrente' e
ancora negli Anni Cinquanta, con i 'realisti
esistenziali'. Il clima milanese è sempre più
incandescente.
Attorno al 1929, Milano dà respiro al gruppo dei
Chiaristi e alla loro opposizione ai canoni
novecentisti; De Rocchi, Del Bon, Spilimbergo, Lilloni,
De Amicis, tenuti a battesimo da Edoardo Persico, si
allontanano dall'arte di regime per disciogliere ogni
evento, ogni visioni in delicate strutture, sensibili
alla luce. Dopo il 1937, 'Guernica' scardina
spazialità e miti eroici, ponendo problemi nuovi alla
figurazione; Milano accoglierà nel 1953 la grande
mostra dedicata a Picasso, con la già famosa opera
sul massacro della cittadina spagnola, in un vespaio
di polemiche e di accesi dibattiti.
Per tutti gli Anni Trenta, si verifica
un'inesorabile maturazione verso manifestazioni di
arte rinnovata, in un'ansia di identità, da
affermare sotto il duplice profilo culturale ed
esistenziale a confronto con le situazioni europee ed
americane, dopo le esperienze cubiste, astratte,
surrealiste.
Ancora una volta a Milano, prendono a vivere inedite
estrinsecazioni di ricerche artistiche, identificatesi
in un nuovo giornale di giovani 'Corrente di vita
giovanile', diretto da Ernesto Treccani. Nel 1939 si
propongono due grandi mostre. Se la prima,
nell'intento di rilevare una sorta di continuità
nell'arte, accomuna giovani e meno giovani, la
seconda, predisposta otto mesi dopo nel dicembre '39,
presenta Prampolini, Mafai, Guttuso, Pirandello,
Reggiani, Franchina, aprendo audaci spiragli su
espressioni molto avanzate. Da 'Corrente' scaturiscono
vivaci forze culturali, anche in letteratura, teatro,
filosofia, nell'intento di uscire dalle pastoie di una
retorica non più sentita, per proiettarsi verso la
comprensione di fermenti còlti nel panorama
internazionale.
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, ancora a
Milano si segnalano i punti di partenza per
l'Informale, l'Arte gestuale, lo Spazialismo, nonchè
per gli sviluppi delle ricerche cinetiche. In
parallelo, si perseguono modi stilistici atti a
esprimere mutati rapporti tra immagini e forma, tra
realtà e sensibilità individuale rispondenti a
situazioni emotive nei confronti della condizione
umana. Ne risultano spunti formali evidenziati in
diversi tessuti pittorici, con operazioni di
rinnovamento linguistico per affermare formulazioni di
attualismo esistenziale, tra liriche esigenze
interiori e allusioni politico-sociali, con aperture
verso dinamiche astratte.
Momento fondamentale per le evoluzioni future è il
gruppo "Nuova Secessione Artistica
Italiana", che prende poi il nome di "Fronte
Nuovo delle Arti". Formatosi nell'ottobre del '46
su proposta di Renato Birolli, il 'Fronte' annovera
tra i primi firmatari Guttuso, Morlotti, Pizzinato,
Vedova, Santomaso e Cassinari in seguito ritiratosi,
nonchè gli scultori Viani e Leoncillo. Corpora,
Turcato, Fazzini, Franchina vi aderiscono nel 1947.
Diverse le posizioni ideologiche e stilistiche: le
esperienze individuali, i dibattiti accesi, l'impegno
civile inteso in termini differenti saranno le
premesse per la spaccatura dialettica tra 'Realismo
socialista' e l'astrazione mirata all'Informale che si
sta imponendo nel segno e nel colore.
Tra i fermenti milanesi, negli Anni Cinquanta, un
gruppo di giovani pittori materializza, in una pittura
densa e povera di colore, la verità concentrata nel
silenzio della condizione umana. Per loro la polemica
antinomia figurazione/astrazione offre solo
indicazioni parziali dinnanzi all'aggrovigliata
problematicità del reale. Si tracciano i primi
contorni di quello che diverrà il Realismo
Esistenziale, nella felice denominazione di Marco
Valsecchi.
" Tutto il percorso degli artisti moderni è in
questa volontà di afferrare, di possedere qualcosa
che sfugge continuamente". Le parole di
Giacometti riflettono la complessità delle
enigmatiche distanze tra l'immagine e l'esistere. Per
i 'realisti esistenziali' è un incontro-scontro
inevitabile.
Sono, costoro, artisti che non intendono irrompere
in modo definitivo fuori dai confini delle tecniche
tradizionali; sentono che l'espressione pittorica può
rispondere appieno alle esigenze tematiche. Anzi, con
tali strumenti, essi intendono misurarsi con la
realtà non solo fenomenica o estetizzante. La scelta
viene attuata a livello esistenziale, innestata
nella quotidianità del 'giorno dopo giorno',
affinchè l'arte si avveda non tanto delle situazioni,
bensì intrecci visivamente aspirazioni, proteste,
operatività.
Negli Anni Cinquanta, l'espressività più
conosciuta nello scabroso rapporto tra 'realismo' e
impegno politico si individua nella pittura di Renato
Guttuso. Per contro, la verità nascosta nella
condizione umana, tra speranza e rifiuto, in una prosa
pittorica senza veemenze coloristiche, svelata in
colori concentrati entro una breve gamma
metropolitana, è il principio ispiratore di quel
gruppo di giovani che agli inizi degli Anni Cinquanta
entra all'Accademia di Brera.
"Era il primo giorno che frequentavo Brera. Per
due anni - annota Giuseppe Banchieri in una
dichiarazione successiva - avevo fatto l'Accademia a
Firenze. Mi indicarono l'aula del professor Carpi.
Entrai: dentro c'erano tutti, dico Romagnoni,
Guerreschi, Vaglieri e Ceretti. Mi parve di conoscerli
da tempo, lessi sui loro volti, istintivamente, che
erano le persone giuste, quelle che avevo sempre
cercato, senza aver l'idea di dove le avrei potute
trovare. La nostra amicizia s'incanalò subito sul
piano quotidiano dell'incontro, della frequentazione,
delle discussioni accanite e senza mezzi
termini..".
Prende avvio il rituale dell'amicizia consolidata
nei vivaci scambi di opinioni. L'obiettivo? "Noi
non volevamo - continua Banchieri - infatti fare
politica attraverso quadri-manifesto o dichiarazioni
programmatiche, ma attraverso una ricostruzione
dell'uomo, esterna e interiore insieme."
L'allusione ad una forma di ribellione al realismo
guttusiano appare subito chiara. La vita culturale a
Milano continua a essere vibrante a animata; per il
giovane gruppo, il sodalizio artistico consente di
'resistere' all'isolamento, che deriva dal porsi
stabilmente contro ogni ideologia programmata. Ancora,
essi prendono le distanze dal cosiddetto Neorealismo
che ai loro occhi appare entro cristallizzati assunti
ideologici; contemporaneamente si attivano al di là
delle declinazioni puramente astratte, anche se è
difficile pensare che non abbiano avvertito le
aggressioni alla realtà di un Espressionismo
Astratto. Romagnoni parla subito di "..adesione
umana oltre il fatto di cronaca".
Il Realismo Esistenziale: insofferenza e
smitizzazione
Protagonisti singolari del "Realismo
Esistenziale" sono, dunque, gli artisti di area
milanese che nella prima metà degli Anni Cinquanta
stanno per terminare i corsi all'Accademia di Brera.
Non è, questa, un'atmosfera di impegno civile e
culturale consolidato nella sola metropoli lombarda,
in quanto se ne risentono gli effetti un pò ovunque.
Ma il 'movimento', se così si può chiamare,
circoscritto agli esordi a Guerreschi, Romagnoni,
Ceretti, Banchieri, Vaglieri, Ferroni, con la presenza
dello scultore Floriano Bodini, trova nel tessuto
storico-sociale di Milano agganci per approfondire una
visione legata all'uomo, in tutta la complessità
dell'intricarsi psicologico e antropologico, nel
quotidiano volgere dei fatti.
Muove gli artisti del Realismo Esistenziale, fuori
da ogni componente di mercato o di pura estetica, il
desiderio di uscire da schemi predeterminati, puntando
energicamente sulle potenzialità di un'arte,
espressione di problematiche connesse non ai grandiosi
sconvolgimenti mondiali, bensì alle luci strane delle
periferie, nella solitudine e nelle miserie contenute
in drammi individuali, ben lontani dalle dichiarazioni
ideologiche e dalle martellanti epopee di classe.
Per cogliere il nesso, trattenendo i fili della
storia senza garbugli, la mostra 'Guerreschi e il
Realismo Esistenziale' prospetta la formulazione
del movimento esclusivamente nello scenario urbano
milanese della sua nascita, fino a poco oltre gli Anni
Sessanta, quando l'esperienza di riflessione
collettiva del gruppo viene travolta dalle
affermazioni di poetiche più individualizzate.
A distanza di quasi quarant'anni, la cultura
artistica della figurazione contemporanea ha un debito
ancora non saldato con il Realismo Esistenziale, per
quell'intensissimo lavoro di scavo, ad opera dei suoi
protagonisti, nelle conflittualità delle relazioni
umane. Sono giovani che hanno vissuto l'adolescenza
entro una guerra lunga e difficile, ognuno trattenendo
in sè visibili o remoti segni di disagio e di
insofferenza.
L'originale, complesso percorso artistico di
Giuseppe Guerreschi fa, qui, da blocco di partenza per
un'indagine ampia e circostanziata sul gruppo, nella
consapevolezza di una dialettica comune attestatasi in
dimensioni oscillanti dal conflitto sociologico
all'individualità comportamentale.
Lo spessore della ricerca guerreschiana si carica di
contatti e di ramificazioni non solo con gli 'altri'
del gruppo, circa l'invenzione di una possibile Nuova
Figurazione, originalmente impostata in divergenti
connotazioni sociali. Guerreschi ha già contatti con
il gallerista americano Feingarten, attraverso il
quale ordinerà, fino al 1960, numerose personali a
New York, Chicago, San Francisco. Accanto alla sua
lucida apertura intellettuale compaiono, nel primo
periodo, la forte emozionalità di Vaglieri, la
frammentarietà narrativa di Romagnoni, il fermo
disincanto di Ceretti, il penetrante lirismo di
Banchieri, il disperante stupore di Ferroni e infine
l'inquietante, antiretorica plasticità di Bodini.
Le immagini colgono emblematiche condizioni di
sgomento, nelle offese e nelle umiliazioni quotidiane,
senza possibilità di riscatto. Nel dipingere, usano
spesso il non-colore per azzardare interni dove larve
umane appaiono immobili; le periferie e le fabbriche
trattengono gli angoscianti confini della prigione
esistenziale.
Enorme la distanza dal realismo guttusiano di cui
essi hanno seguito l'evolversi - lo stesso Guerreschi
prepara la tesina di licenza accademica proprio su
Guttuso - e di cui stigmatizzano la componente
ideologica sempre più evidenziata.
Molte le seduzioni conosciute in quegli anni, molte
le allusioni alla grande arte europea e americana. Nel
'50 nasce l'impegno morale di André Minaux e di Paul
Rebeyrolle, inseriti nel gruppo di quei giovani
pittori realisti che, a Parigi, tengono i loro
'atelier' nell'ormai degradato, ma sempre glorioso
edificio della Ruche. Ancora, la spettrale pittura di
Bernard Buffet, il divenire di forme addensate e
mobili in Nicolas De Stael, la realtà umana di
'pietas' e orrore nell'incubo degli ectoplasmi di
Francis Bacon, l'ossessione visiva nella sfida della
figura allo spazio in Giacometti, l'informale di Wols,
la violenza evocativa di Arshile Gorky, l'aggressione
emozionale della realtà in De Kooning: tutto e nulla,
è possibile far rientrare nelle sperimentazioni di
quegli artisti milanesi che vivono tra Corso Garibaldi
e via Brera, stazionano al Giamaica per discutere
accanitamente.
Fin dagli esordi a Brera, Guerreschi modula un
linguaggio articolato in modo dialettico tra
problematicità figurale e tematica attraverso gli
strumenti nuovi offerti dalla pittura e
dall'incisione, tecnica, quest'ultima, in cui egli
raggiunge altissimi esiti. Nello scenario urbano della
Milano 'città che sale', il percorso guerreschiano
affronta il presente di una nuova 'figurazione
critica', rapportata ai destini dell'uomo nella
realtà sociale. In una lettera del '64, Guerreschi
scrive al critico Enrico Crispolti circa la dimensione
evolutiva della sua arte, parlando di:".. analisi
e coscienza di me stesso (autobiografismo) e analisi e
coscienza della realtà che mi circonda (rapportati e
discussi dentro uno spazio emblematico: la
città)".
L'immaginario visivo di Guerreschi si carica di
fantasmi plurimi in conflitto con l'assillo del reale,
non in una registrazione puramente descrittiva, bensì
in una provocazione analitica mirata a nuove valenze
figurative. I 'compagni di ventura', appena usciti
dall'Accademia, riscoprono nell'orizzonte quotidiano una
plausibilità nuova per la figurazione, spiazzata tra
esistenza e storia, nei risvolti degli eventi o nelle
fantasie personali. .....................