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  MOSTRE D'ARTE  

GUERRESCHI

   

 

 
GUERRESCHI E IL REALISMO ESISTENZIALE
Gli Anni Cinquanta/Sessanta
a Milano
a cura di Fabrizia Buzio Negri
testi in catalogo: Fabrizia Buzio Negri e Mario De Micheli
CIVICA GALLERIA D'ARTE MODERNA
COMUNE di GALLARATE 
dal 6 aprile al 25 maggio 1997
Catalogo: Edizioni IL VICOLO Divisione Libri,Cesena,1997

 

Realismo Esistenziale: una stagione artistica milanese
La necessaria premessa
E' la nuova 'città che sale' dopo la tragedia di una guerra sovrastante la giovinezza di una generazione di artisti. Milano, tra gli Anni Cinquanta e Sessanta. L'inurbamento, sotto la spinta delle grandi emigrazioni dalla campagna. Le metamorfosi sociali e culturali, le immani accelerazioni per cancellare le distruzioni e le ferite lasciate dall'impatto bellico. E' indubbio il ridimensionamento nei rapporti con la realtà, nel panorama mutato dell'arte del dopoguerra. Il Realismo Esistenziale ribadisce la sua estraneità alla cultura dominante, ha riferimenti diretti con le irrinunciabili urgenze del vivere nell' 'environment-uomo', lontano dall'apparenza dei gesti e delle circostanze, alla ricerca di significati da decifrare nei riflessi di un'interiorità autonomamente rappresentata nel visibile. L'Indagine si conferma in ambito milanese, dove i 'realisti esistenziali' trovano fertile territorio per manifestare una sorta di neo-etica rintracciabile entro spazi nuovi per l'arte. Nel panorama urbano di una Milano sempre più aperta a fermenti intellettuali, si incontrano Giuseppe Guerreschi, Mino Ceretti, Bepi Romagnoni, Tino Vaglieri, Giuseppe Banchieri. Sono gli esordi degli Anni Cinquanta; poco dopo arriva Gianfranco Ferroni; ai pittori si affianca lo scultore Floriano Bodini. Sono tutti giovanissimi, frequentano l'Accademia di Brera, trascorrono una difficile esistenza d'artista e aspirano a rappresentare la vita, tout court. Religiosità e socialità in loro confluiscono in una dimensione autenticamente riferita all'uomo, nei convincimenti più alti e più profondi. La sperimentazione artistica procede sulla strada delle grandi battaglie per disintegrare l'impianto tradizionale della figurazione. Il grumo originario delle ribellioni mette stabili radici a Milano, centro nevralgico dell'arte nel nostro secolo, terreno di lotte fin dagli Anni Trenta, contro il 'Novecento' nel suo evolversi più accademico. Il destino si ripete un decennio più tardi nelle istanze di 'Corrente' e ancora negli Anni Cinquanta, con i 'realisti esistenziali'. Il clima milanese è sempre più incandescente.
Attorno al 1929, Milano dà respiro al gruppo dei Chiaristi e alla loro opposizione ai canoni novecentisti; De Rocchi, Del Bon, Spilimbergo, Lilloni, De Amicis, tenuti a battesimo da Edoardo Persico, si allontanano dall'arte di regime per disciogliere ogni evento, ogni visioni in delicate strutture, sensibili alla luce. Dopo il 1937, 'Guernica' scardina spazialità e miti eroici, ponendo problemi nuovi alla figurazione; Milano accoglierà nel 1953 la grande mostra dedicata a Picasso, con la già famosa opera sul massacro della cittadina spagnola, in un vespaio di polemiche e di accesi dibattiti.
Per tutti gli Anni Trenta, si verifica un'inesorabile maturazione verso manifestazioni di arte rinnovata, in un'ansia di identità, da affermare sotto il duplice profilo culturale ed esistenziale a confronto con le situazioni europee ed americane, dopo le esperienze cubiste, astratte, surrealiste.
Ancora una volta a Milano, prendono a vivere inedite estrinsecazioni di ricerche artistiche, identificatesi in un nuovo giornale di giovani 'Corrente di vita giovanile', diretto da Ernesto Treccani. Nel 1939 si propongono due grandi mostre. Se la prima, nell'intento di rilevare una sorta di continuità nell'arte, accomuna giovani e meno giovani, la seconda, predisposta otto mesi dopo nel dicembre '39, presenta Prampolini, Mafai, Guttuso, Pirandello, Reggiani, Franchina, aprendo audaci spiragli su espressioni molto avanzate. Da 'Corrente' scaturiscono vivaci forze culturali, anche in letteratura, teatro, filosofia, nell'intento di uscire dalle pastoie di una retorica non più sentita, per proiettarsi verso la comprensione di fermenti còlti nel panorama internazionale.
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, ancora a Milano si segnalano i punti di partenza per l'Informale, l'Arte gestuale, lo Spazialismo, nonchè per gli sviluppi delle ricerche cinetiche. In parallelo, si perseguono modi stilistici atti a esprimere mutati rapporti tra immagini e forma, tra realtà e sensibilità individuale rispondenti a situazioni emotive nei confronti della condizione umana. Ne risultano spunti formali evidenziati in diversi tessuti pittorici, con operazioni di rinnovamento linguistico per affermare formulazioni di attualismo esistenziale, tra liriche esigenze interiori e allusioni politico-sociali, con aperture verso dinamiche astratte.
Momento fondamentale per le evoluzioni future è il gruppo "Nuova Secessione Artistica Italiana", che prende poi il nome di "Fronte Nuovo delle Arti". Formatosi nell'ottobre del '46 su proposta di Renato Birolli, il 'Fronte' annovera tra i primi firmatari Guttuso, Morlotti, Pizzinato, Vedova, Santomaso e Cassinari in seguito ritiratosi, nonchè gli scultori Viani e Leoncillo. Corpora, Turcato, Fazzini, Franchina vi aderiscono nel 1947. Diverse le posizioni ideologiche e stilistiche: le esperienze individuali, i dibattiti accesi, l'impegno civile inteso in termini differenti saranno le premesse per la spaccatura dialettica tra 'Realismo socialista' e l'astrazione mirata all'Informale che si sta imponendo nel segno e nel colore.
Tra i fermenti milanesi, negli Anni Cinquanta, un gruppo di giovani pittori materializza, in una pittura densa e povera di colore, la verità concentrata nel silenzio della condizione umana. Per loro la polemica antinomia figurazione/astrazione offre solo indicazioni parziali dinnanzi all'aggrovigliata problematicità del reale. Si tracciano i primi contorni di quello che diverrà il Realismo Esistenziale, nella felice denominazione di Marco Valsecchi.
" Tutto il percorso degli artisti moderni è in questa volontà di afferrare, di possedere qualcosa che sfugge continuamente". Le parole di Giacometti riflettono la complessità delle enigmatiche distanze tra l'immagine e l'esistere. Per i 'realisti esistenziali' è un incontro-scontro inevitabile.
Sono, costoro, artisti che non intendono irrompere in modo definitivo fuori dai confini delle tecniche tradizionali; sentono che l'espressione pittorica può rispondere appieno alle esigenze tematiche. Anzi, con tali strumenti, essi intendono misurarsi con la realtà non solo fenomenica o estetizzante. La scelta viene attuata a livello esistenziale, innestata nella quotidianità del 'giorno dopo giorno', affinchè l'arte si avveda non tanto delle situazioni, bensì intrecci visivamente aspirazioni, proteste, operatività.
Negli Anni Cinquanta, l'espressività più conosciuta nello scabroso rapporto tra 'realismo' e impegno politico si individua nella pittura di Renato Guttuso. Per contro, la verità nascosta nella condizione umana, tra speranza e rifiuto, in una prosa pittorica senza veemenze coloristiche, svelata in colori concentrati entro una breve gamma metropolitana, è il principio ispiratore di quel gruppo di giovani che agli inizi degli Anni Cinquanta entra all'Accademia di Brera.
"Era il primo giorno che frequentavo Brera. Per due anni - annota Giuseppe Banchieri in una dichiarazione successiva - avevo fatto l'Accademia a Firenze. Mi indicarono l'aula del professor Carpi. Entrai: dentro c'erano tutti, dico Romagnoni, Guerreschi, Vaglieri e Ceretti. Mi parve di conoscerli da tempo, lessi sui loro volti, istintivamente, che erano le persone giuste, quelle che avevo sempre cercato, senza aver l'idea di dove le avrei potute trovare. La nostra amicizia s'incanalò subito sul piano quotidiano dell'incontro, della frequentazione, delle discussioni accanite e senza mezzi termini..".
Prende avvio il rituale dell'amicizia consolidata nei vivaci scambi di opinioni. L'obiettivo? "Noi non volevamo - continua Banchieri - infatti fare politica attraverso quadri-manifesto o dichiarazioni programmatiche, ma attraverso una ricostruzione dell'uomo, esterna e interiore insieme."
L'allusione ad una forma di ribellione al realismo guttusiano appare subito chiara. La vita culturale a Milano continua a essere vibrante a animata; per il giovane gruppo, il sodalizio artistico consente di 'resistere' all'isolamento, che deriva dal porsi stabilmente contro ogni ideologia programmata. Ancora, essi prendono le distanze dal cosiddetto Neorealismo che ai loro occhi appare entro cristallizzati assunti ideologici; contemporaneamente si attivano al di là delle declinazioni puramente astratte, anche se è difficile pensare che non abbiano avvertito le aggressioni alla realtà di un Espressionismo Astratto. Romagnoni parla subito di "..adesione umana oltre il fatto di cronaca".
 
 
Il Realismo Esistenziale: insofferenza e smitizzazione
Protagonisti singolari del "Realismo Esistenziale" sono, dunque, gli artisti di area milanese che nella prima metà degli Anni Cinquanta stanno per terminare i corsi all'Accademia di Brera. Non è, questa, un'atmosfera di impegno civile e culturale consolidato nella sola metropoli lombarda, in quanto se ne risentono gli effetti un pò ovunque. Ma il 'movimento', se così si può chiamare, circoscritto agli esordi a Guerreschi, Romagnoni, Ceretti, Banchieri, Vaglieri, Ferroni, con la presenza dello scultore Floriano Bodini, trova nel tessuto storico-sociale di Milano agganci per approfondire una visione legata all'uomo, in tutta la complessità dell'intricarsi psicologico e antropologico, nel quotidiano volgere dei fatti.
Muove gli artisti del Realismo Esistenziale, fuori da ogni componente di mercato o di pura estetica, il desiderio di uscire da schemi predeterminati, puntando energicamente sulle potenzialità di un'arte, espressione di problematiche connesse non ai grandiosi sconvolgimenti mondiali, bensì alle luci strane delle periferie, nella solitudine e nelle miserie contenute in drammi individuali, ben lontani dalle dichiarazioni ideologiche e dalle martellanti epopee di classe.
Per cogliere il nesso, trattenendo i fili della storia senza garbugli, la mostra 'Guerreschi e il Realismo Esistenziale' prospetta la formulazione del movimento esclusivamente nello scenario urbano milanese della sua nascita, fino a poco oltre gli Anni Sessanta, quando l'esperienza di riflessione collettiva del gruppo viene travolta dalle affermazioni di poetiche più individualizzate.
A distanza di quasi quarant'anni, la cultura artistica della figurazione contemporanea ha un debito ancora non saldato con il Realismo Esistenziale, per quell'intensissimo lavoro di scavo, ad opera dei suoi protagonisti, nelle conflittualità delle relazioni umane. Sono giovani che hanno vissuto l'adolescenza entro una guerra lunga e difficile, ognuno trattenendo in sè visibili o remoti segni di disagio e di insofferenza.
L'originale, complesso percorso artistico di Giuseppe Guerreschi fa, qui, da blocco di partenza per un'indagine ampia e circostanziata sul gruppo, nella consapevolezza di una dialettica comune attestatasi in dimensioni oscillanti dal conflitto sociologico all'individualità comportamentale.
Lo spessore della ricerca guerreschiana si carica di contatti e di ramificazioni non solo con gli 'altri' del gruppo, circa l'invenzione di una possibile Nuova Figurazione, originalmente impostata in divergenti connotazioni sociali. Guerreschi ha già contatti con il gallerista americano Feingarten, attraverso il quale ordinerà, fino al 1960, numerose personali a New York, Chicago, San Francisco. Accanto alla sua lucida apertura intellettuale compaiono, nel primo periodo, la forte emozionalità di Vaglieri, la frammentarietà narrativa di Romagnoni, il fermo disincanto di Ceretti, il penetrante lirismo di Banchieri, il disperante stupore di Ferroni e infine l'inquietante, antiretorica plasticità di Bodini.
Le immagini colgono emblematiche condizioni di sgomento, nelle offese e nelle umiliazioni quotidiane, senza possibilità di riscatto. Nel dipingere, usano spesso il non-colore per azzardare interni dove larve umane appaiono immobili; le periferie e le fabbriche trattengono gli angoscianti confini della prigione esistenziale.
Enorme la distanza dal realismo guttusiano di cui essi hanno seguito l'evolversi - lo stesso Guerreschi prepara la tesina di licenza accademica proprio su Guttuso - e di cui stigmatizzano la componente ideologica sempre più evidenziata.
Molte le seduzioni conosciute in quegli anni, molte le allusioni alla grande arte europea e americana. Nel '50 nasce l'impegno morale di André Minaux e di Paul Rebeyrolle, inseriti nel gruppo di quei giovani pittori realisti che, a Parigi, tengono i loro 'atelier' nell'ormai degradato, ma sempre glorioso edificio della Ruche. Ancora, la spettrale pittura di Bernard Buffet, il divenire di forme addensate e mobili in Nicolas De Stael, la realtà umana di 'pietas' e orrore nell'incubo degli ectoplasmi di Francis Bacon, l'ossessione visiva nella sfida della figura allo spazio in Giacometti, l'informale di Wols, la violenza evocativa di Arshile Gorky, l'aggressione emozionale della realtà in De Kooning: tutto e nulla, è possibile far rientrare nelle sperimentazioni di quegli artisti milanesi che vivono tra Corso Garibaldi e via Brera, stazionano al Giamaica per discutere accanitamente.
Fin dagli esordi a Brera, Guerreschi modula un linguaggio articolato in modo dialettico tra problematicità figurale e tematica attraverso gli strumenti nuovi offerti dalla pittura e dall'incisione, tecnica, quest'ultima, in cui egli raggiunge altissimi esiti. Nello scenario urbano della Milano 'città che sale', il percorso guerreschiano affronta il presente di una nuova 'figurazione critica', rapportata ai destini dell'uomo nella realtà sociale. In una lettera del '64, Guerreschi scrive al critico Enrico Crispolti circa la dimensione evolutiva della sua arte, parlando di:".. analisi e coscienza di me stesso (autobiografismo) e analisi e coscienza della realtà che mi circonda (rapportati e discussi dentro uno spazio emblematico: la città)".
L'immaginario visivo di Guerreschi si carica di fantasmi plurimi in conflitto con l'assillo del reale, non in una registrazione puramente descrittiva, bensì in una provocazione analitica mirata a nuove valenze figurative. I 'compagni di ventura', appena usciti dall'Accademia, riscoprono nell'orizzonte quotidiano una plausibilità nuova per la figurazione, spiazzata tra esistenza e storia, nei risvolti degli eventi o nelle fantasie personali.  .....................

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